Il 5 aprile debutterà al cinema il primo horror diretto e interpretato da John Krasinski: A Quiet Place – Un Posto Tranquillo. Il film, ormai terza prova alla regia per il giovane protagonista di The Office, si offre come un horror piuttosto atipico nel suo genere: nessuna scream queen, nessuna musica alla Psycho. Solo una lunga e straziante serie di silenzi. E una famiglia obbligata a comunicare nel più impercettibile dei modi per sopravvivere. Vediamo insieme come il film si presenta dal trailer.
In un futuro post-apocalittico, non troppo distante dalle atmosfere di Io sono leggenda, la società umana è stata distrutta da un gruppo di feroci predatori dotati di un udito sopraffino. Qualsiasi fonte sonora d’intensità superiore a quella della natura è prontamente rintracciata e distrutta. Nel bel mezzo di questo scenario si muove (rigorosamente a piedi nudi) una famiglia di superstiti: è la famiglia Abbott, composta da mamma (Emily Blunt), papà (John Krasinski) e due figli piccoli – anzi, forse dovremmo dire tre. Sì, perchè in un mondo dove qualsiasi rumore è punito con la morte istantanea, mamma Emily Blunt si presenta niente meno che in stato di dolce attesa. E come dare alla luce un figlio senza fare la fine dell’equipaggio di Alien? Intorno a questo grande interrogativo verte tutto l’effetto suspense del film. E in quel momento – inutile dirvelo – si concentrerà, di fatto, il vero apice della tensione horrorifica.
Ora, senza dilungarci troppo sugli sviluppi (piuttosto prevedibili) della trama di A Quiet Place, vogliamo prima di tutto riconoscere la genialità e l’audacia della sua idea di partenza. Partendo dal presupposto che l’horror è un genere nato proprio sui virtuisismi del sonoro, l’impresa di fare un “horror silenzioso” poteva risultare estremamente rischiosa. Invece… John Krasinski, Bryan Woods e Scott Beck hanno fatto un ottimo lavoro con la sceneggiatura e hanno anche il merito di aver dato visibilità a un linguaggio altrimenti adombrato dal mondo cinematografico: quello dell’alfabeto dei segni. La scelta di dar corpo a un personaggio sordo-muto (la figlia maggiore) si offre come espediente per una miriade di piccole trovate, prima fra tutte proprio quella di sviluppare la comunicazione tramite linguaggio gestuale. Secondariamente, presta il fianco a tutta una serie di soggettive sonore molto interessanti. E, last but not least, saranno proprio i suoi apparecchi acustici a giocare un ruolo importante nella lotta alla sopravvivenza.
Per cui, sì, che siate amanti o detrattori del genere, A Quiet Place è un film che avrà sicuramente il merito di intrattenervi – se non altro per le piccole accortezze di cui sopra. Tra le altre note positive del film ricordiamo anche la colonna sonora firmata Marco Beltrami, grande accompagnatore della suspense dai tempi di The Hurt Locker (2008), e le convicenti prove attoriali dei giovanissimi Noah Jupe e Millicent Simmonds. Tuttavia, nel complesso, la struttura narrativa è piuttosto debole e prevebile, complice anche l’alto tasso di riprese analitiche su tutti quegli oggetti che possono fare rumore (e infatti lo faranno). Anche la scelta di procedere cronologicamente per ellissi alla fine si rivela inefficace: tutta la vicenda si sviluppa sostanzialmente nel 473esimo giorno. Ciò che avviene nell’ 89esimo pare solo un pretesto per informare lo spettatore, tramite un foglio di giornale, del corollario supremo del film, ossia: «stay silent, stay alive».
In ogni caso, A Quiet Place ha finora ottenuto una buona accoglienza di pubblico e pare confermare una cosa: l’abilità di John Krasinski, più figlio della drama-comedy che dell‘horror, di approcciarsi anche a generi diversi con la medesima professionalità. Queste le sue parole riguardo a ciò che il film, girato insieme alla moglie Emily Blunt, ha significato per lui:
Questo film non è un film del terrore. Non più. Per me è la metafora dell’essere genitori oggi. Le creature simboleggiano il giorno in cui un padre e una madre decidono che è arrivato il momento di lasciare liberi i figli. A costo della vita. È un film che ragiona sull’elemento della paranoia. Un grande maestro in questo senso è stato Robin Williams, con il quale ho lavorato in Licenza di matrimonio.
Insomma, proprio dal felice azzardo della sceneggiatura e dal senso di coesione famigliare che si respira fra i componenti del cast viene lo sprint necessario a raggiunge (o almeno intrattenere) vari strati di pubblico. Chissà che questa dei Krunt, quasi novelli Brangelina della scena horror, non sia la prima di una lunga collaborazione artistica!