La verità negata non è il solito film sull’Olocausto. L’opera di Mick Jackson (Pazzi a Beverly Hills, Guardia del corpo, Temple Grandin-Una donna straordinaria grazie al quale si è aggiudicato un Emmy Award insieme a Claire Danes) e David Hare (sceneggiatore di The Hours e The Reader-a voce alta) si allontana con fermezza dall’approccio emotivo, spesso pesante, che tende a far scappare i liceali dalle aule video durante il giorno della memoria. Sceglie, invece, un punto di vista logico, distaccato e legale ma, non per questo, freddo, che restituisce all’argomento trattato tutta la sua dignità.
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Film estremamente utile, inoltre, per affrontare il mandato Trump. La verità negata è un ottimo manuale su come ci si confronta con la mistificazione dei fatti e l’uso improprio delle parole da parte dei demagoghi.
Il film segue fedelmente le vicende del processo Irving contro Penguin Books e Lipstadt svoltosi nel 2000 in Gran Bretagna. David Irving, interpretato da Timothy Spall (Turner, Il maledetto United, ma a noi è meglio noto come volto dell’odiato Codaliscia di Harry Potter), è uno storico negazionista inglese, col mito di Hitler, che venne citato e screditato da Deborah Lipstadt, Rachel Weisz (Il nemico alle porte e premio Oscar per The Constant Gardener), storica dell’Olocausto, americana, ebrea, in un’opera del 1993, Denying the Holocaust: The Growing Assault on Truth and Memory .
“Storico negazionista” è un ossimoro. Un negazionista non può, per sua stessa natura, essere uno storico, ed è stato proprio grazie al processo Irving contro Penguin Books e Lipstadt che questa verità è stata messa definitivamente e irrevocabilmente nero su bianco dalle istituzioni.
Irving incentrava le sue teorie negazioniste su Auschwitz. Sosteneva, infatti, che non fosse mai stato un campo di sterminio bensì di concentramento e che le camere a gas non fossero mai esistite e fossero una leggenda inventata appositamente dagli ebrei. Irving affermava che fossero morte molte persone ad Auschwitz, ma che nessuna fosse stata uccisa intenzionalmente.
Fece causa per diffamazione alla Lipstadt nel ‘96 sostenendo che, citandolo nel suo libro (dove Lipstadt lo accusava di apologia del Nazismo e di aver, con questa ideologia, manipolato i fatti storici) avesse minato le sue motivazioni e la sua competenza, ponendo il primo mattone di un progetto più ampio, un vero e proprio complotto, ovviamente di matrice ebraica, atto ad escluderlo dagli ambienti accademici e dalle pubblicazioni, impedendogli, di fatto, di trovare lavoro e quindi di vivere. David Irving decise di rappresentare se stesso in tribunale.
Qui abbiamo il primo vero punto di svolta nelle premesse della storia, Irving fu abile a costruire il caso su suolo inglese, dove, nei casi di diffamazione è prevista la presunzione di colpevolezza. Il ricorrente si limita a mostrare la diffamazione, poiché l’onere della prova è a carico della difesa. La Lipstadt si trovò così a dover dimostrare, nell’aula della corte suprema britannica, l’esistenza stessa dell’Olocausto.
Nel sistema forense inglese le parti in causa vengono sempre rappresentate da due avvocati che ricoprono ruoli diversi: il solicitor, che si occupa di organizzare la strategia, i patteggiamenti e di redarre documenti legali, e il barrister, che fornisce consulenze legali specializzate e rappresenta individui e organizzazioni in tribunale, “quello che parla” insomma.
Il solicitor e il barrister della Lipstadt erano, rispettivamente, Anthony Julius, interpretato da Andrew Scott (Salvate il soldato Ryan, Spectre, il Moriarty di Sherlock), professionista di fama mondiale che si era occupato, per una certa Lady D, niente meno che del di lei divorzio da Carlo d’Inghilterra, che l’avrebbe fatta tornare ad essere solo Diana Spencer e Richard Rampton, Tom Wilkinson (Shakespeare in Love, Michael Clayton, John Adams, oltre ad essere il Dr. Howard Mierzwiak di Se mi lasci ti cancello), all’epoca il miglior barrister d’Inghilterra.
Il secondo turning point, che è forse quello che ha davvero consegnato questo processo alla storia, fu la decisione strategica di Julius, appoggiato da Rampton, di non portare sul banco dei testimoni alcun sopravvissuto di Auschwitz né la Lipstadt stessa. I due avvocati ritenevano che portare i sopravvissuti come testimoni avrebbe dato legittimità alle affermazioni di Irving, dando al negazionista modo di processare l’Olocausto stesso che, invece, non andava messo in discussione in qualità di fatto storico. Inoltre temevano che i sopravvissuti potessero non ricordare dettagli specifici relativi, ad esempio, alla planimetria delle camere a gas, consentendo così ad Irving d’incalzarli e prendere quei dettagli come pretesto per sostenere che l’intero Olocausto fosse un’invenzione.
L’obiettivo di Julius e Rampton non era solo quello di scagionare Lipstadt dall’accusa di diffamazione ma di ritorcere il processo contro Irving stesso dimostrando che gli errori storici nelle sue pubblicazioni fossero mistificazioni a supporto dell’apologia di Hitler.
La storia scivola sul sentimentale solo in un un paio di scene e la retorica è ridotta al minimo. Il film è intriso di tutto l’epos della seconda guerra mondiale e gioca sul contrasto tra il personaggio della Lipstadt, americana emotiva animata dal fuoco sacro della storia, e quelli degli avvocati Julius e Rampton, inglesi lucidi e distaccati, veri e propri soldati della giustizia. Le scene in tribunale rievocano la forza delle battaglie della seconda guerra mondiale, il martello della vis polemica di Rampton si abbatte impietosamente su Irving durante i botta e risposta al banco dei testimoni, come in scontri a fuoco che non danno respiro.
Il film è tutt’altro che una marcia vittoriosa sul nemico però, Irving è un abile oratore e sa come abusare delle parole al fine di sviare l’attenzione a suo vantaggio.
La verità negata è indubbiamente il film perfetto da mostrare nelle scuole, scevro com’è dalla retorica artefatta e soffocante di troppe opere che trattano lo stesso argomento. Come dice Richard Rampton, attraverso la voce di Tom Wilkinson, “This is not a memorial, this is justice” (“Questa non è una commemorazione, questa è giustizia”).
Il libro di Deborah Lipstadt uscirà per la prima volta in Italia con il titolo “La verità negata (Denial)” il 15 Novembre, edito da Mondadori.
Tra la miriade di pubblicazioni e onorificenze ricevute, la Lipstadt è anche responsabile del sito www.hdot.org (Holocaust Denial on Trial) che è un archivio completo dei procedimenti del caso David Irving v Penguin Books and Deborah Lipstadt. Il sito, inoltre, fornisce risposte alle frequenti affermazioni fatte dai negazionisti dell’Olocausto.