Abbiamo dovuto aspettare fino al 13 dicembre, ma ci ha pensato Michael Bay a togliere ogni dubbio regalandoci in extremis il film più brutto dell’anno superando sul filo di lana Midway, del redivivo Roland Emmerich. 6 Underground, prodotto da Skydance ma distribuito da Netflix, rappresenta il cinema di Bay all’ennesima potenza. Colori sgargianti che si muovono come macchie sullo schermo per via di un montaggio frenetico e compulsivo, una sceneggiatura inconsistente (nonostante sia stata scritta a quattro mani) ed esplosioni a non finire. Di un lungometraggio canonico, 6 Underground ha solamente la divisione in tre atti, l’inizio, lo sviluppo e la conclusione.
6 Underground: l’inizio
Esiste una regola non scritta nel cinema, per la quale i primi 10-15 minuti di un film ne determinano tutto l’andamento. 6 Underground non fa eccezione. L’inseguimento in auto iniziale, caratterizzato da un ritmo indiavolato e un montaggio talmente serrato da far risultare ciò che si vede a tratti incomprensibile, è il perfetto riassunto della pellicola. Qualche anno fa è uscito un altro film che iniziava con una corsa altrettanto folle, Baby Driver – Il genio della fuga, scritto e diretto da Edgar Wright. Nella storia del Cinema saranno milioni i lungometraggi che iniziano con un inseguimento, ma la Columbia Pictures ha reso disponibili gratuitamente online i primi sei minuti di Baby Driver. Le inquadrature pulite, ottenute grazie ad uno studio maniacale che Wright ha condotto prima di girarle con lo stuntman al volante, ed il montaggio del regista fanno percepire in ogni momento allo spettatore cosa sta accadendo e rendono perfettamente l’idea di come dovrebbe essere girato da scuola del Cinema un inseguimento.
6 Underground: lo sviluppo
“Qual è la parte migliore dell’essere morto? Non è sfuggire al tuo capo, alla tua ex, né ripulire la tua fedina penale. La parte migliore dell’essere morto… è la libertà. La libertà di combattere l’ingiustizia e il male nel nostro mondo senza che nulla o nessuno ti rallenti o ti dica no“.
La trama è semplice: una squadra di vigilantes formata da sei personaggi ognuno scelto per una propria abilità e capitanati da un miliardario, finge la propria morte e combatte nell’ombra allo scopo di liberare il mondo dalle persone peggiori a cui i governi non fanno nulla. Dopo la sequenza iniziale ambientata tra Siena e Firenze, in cui ci vengono presentati i protagonisti della storia, ossia Uno (Ryan Reynolds, il miliardario), Due (Mélanie Laurent, la spia della C.I.A.), Tre (Manuel Garcia-Rulfo, il sicario), Quattro (Ben Hardy, l’acrobata), Cinque (Adria Arjona, il medico), e Sei (Dave Franco, l’autista).
Il problema del film non è tanto credere a una storia del genere, bensì il linguaggio cinematografico che questa storia la racconta. Non si tratta di staccare la testa per trascorrere due ore senza aspettarsi granché dai contenuti, dai dialoghi, dalla psicologia dei personaggi, lasciandosi prendere dalle scene d’azione. Questo è il più grande errore che si possa fare guardando questo film. 6 Underground non fa il suo dovere, perché anche il cinema senza pretese autoriali e di puro intrattenimento deve essere di qualità.
6 Underground: la fine
Se con Roma, The Irishman e Storia di un Matrimonio, Netflix ci aveva già ampiamente dimostrato di poter portare il grande cinema d’autore sul piccolo schermo, con 6 Underground distribuisce per la prima volta un blockbuster d’azione ad alto budget (oltre 170 milioni di ex presidenti stampati su carta verde) sfatando un altro luogo comune. E lo fa con un personaggio come Michael Bay, i cui film hanno spesso diviso critica e pubblico, raccogliendo tante recensioni negative quante soddisfazioni al botteghino. Chissà se il regista riuscirà a farla ancora una volta ai suoi fan, che se sapranno andare oltre sequenze spettacolari, elicotteri ed esplosioni rimarranno con un film confuso, incongruente e inconsistente.