Prendete la costruzione narrativa de Le Iene, il ritmo di Pulp Fiction e le atmosfere di The Hateful Eight e capirete perché è lecito definire 7 Sconosciuti a El Royale un pulp tarantiniano. Il film, che ha aperto la tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, fonde il noir e il thriller, aggiungendo una buona dose di ironia e gli elementi propri dei gialli di Agatha Christie. Il regista Drew Goddard ricostruisce l’immagine infranta del Sogno Americano, settando il film nel 1969, nel bel mezzo della guerra del Vietnam, pochi anni dopo l’assassinio di J.F. Kennedy e con le prime ombre del Governo Nixon, insediatosi proprio nel gennaio del ’69.
7 Sconosciuti in cerca d’autore
I sette protagonisti del film – a proposito, era proprio necessario tradurre in maniera così spoilerosa l’originale Bad Times at the El Royale? – entrano in scena uno per volta, e vengono caratterizzati sin dalla loro apparizione in scena. Proprio come nel film d’esordio di Quentin Tarantino, Le Iene, la storia ci viene raccontata da diversi angoli, riproponendo uno stesso avvenimento dal punto di vista di ogni personaggio coinvolto, mentre i background dei personaggi ci vengono mostrati uno ad uno tramite dei flashback che spezzano il ritmo della narrazione, divisa in capitoli. Il cast è davvero ricchissimo, ma su attori molto quotati come Jeff Bridges, Chris Hemsworth, John Hamm e Dakota Johnson spiccano la giovane Cailee Spaeny e la cantante Cynthia Erivo, all’esordio sul grande schermo.
La pellicola gioca tantissimo sul tema del doppio. Man mano che conosciamo i protagonisti emerge un atteggiamento sempre più ambiguo dei personaggi: tutti celano segreti e problematiche del loro passato. Il doppio è ottimamente rappresentato anche dal luogo dove si svolge la scena, visto che l’hotel El Royale è tagliato in due dal confine tra California e Nevada.
1 Regista in cerca di conferma
Aveva spiazzato un po’ tutti Drew Goddard con il suo film d’esordio nel 2012, Quella Casa Nel Bosco, una comedy horror story con un plot twist davvero sorprendente. Con 7 Sconosciuti a El Royale il regista del New Mexico cambia totalmente genere e registro, perdendo tuttaia un po’ di quella originalità che aveva contraddistinto la sua opera prima. I lunghi piani sequenza ci portano a vivere letteralmente le situazioni e le riprese simmetriche accentuano il tema del dualismo, senza mai cadere nell’autocelebrazione registica. L’attenzione ai particolari è quasi maniacale, non viene lasciato nulla al caso per permetterci sempre di avere bene sott’occhio tutti gli elementi necessari a capire l’evoluzione della storia.
Il film purtroppo però dà sempre la sensazione di non voler affondare mai, di frenarsi continuamente dallo spingere sul pedale dell’acceleratore. I colpi di scena ci sono ma non così sconvolgenti, la violenza c’è ma non è eccessiva. 7 Sconosciuti a El Royale è un film pulp nell’essenza, ma non lo è fino in fondo. Inoltre, da una produzione che strizza in tutto e per tutto l’occhio alla filmografia di Quentin Tarantino, era lecito aspettarsi un finale col botto. E invece Goddard traccia una conclusione coerente ma sin troppo classica, illuminandoci più con gli addominali di Chris Hemsworth che con il triello de Le Iene, la svastica di Bastardi Senza Gloria o l’impiccagione di The Hateful Eight.