Jurassic World: Il Regno Distrutto è finalmente arrivato. Sono passati tre anni dal disastro di Isla Nublar e di cose ne sono successe. Donald Trump è stato eletto alla Casa Bianca, Colin Trevorrow ha trovato il tempo di farsi assumere e licenziare da Kathleen “Star Wars” Kennedy e i Chicago Cubs hanno onorato la previsione di Ritorno Al Futuro. Nel frattempo, invece, su Isla Nublar si sta consumando una catastrofe ed i dinosauri sopravvissuti alla furia dell’Indominus Rex sono in pericolo.
Il retaggio culturale di una saga come Jurassic Park è enorme: un logo riconoscibilissimo, pionieri negli effetti speciali, il nome di Spielberg come spada di Damocle che pende al varco dei paragoni. Non deve essere stato un ambiente semplice in cui esprimersi per J.A. Bayona. Il regista spagnolo, reduce da due grandi successi (The Impossible e Sette Minuti Dopo La Mezzanotte) arriva a confrontarsi con la realtà dei grandi franchise e ne rimane parzialmente schiacciato.
Andando con ordine, il film cerca di essere un punto di rottura rispetto ai capitoli precedenti: dopo una prima sezione di acclimatamento, molto simile a quanto visto nel primo film, la pellicola si allontana dal sentiero battuto per cercare la propria identità, ma stavolta non c’è una scia di briciole da seguire ed inevitabilmente il film si perde nel bosco.
Il problema grande di Jurassic World: Il Regno Distrutto è, infatti, che non sceglie mai cosa voglia essere da grande. Con sequenze a tratti horror, fantapolitica, avventura, para-attivismo per i diritti il film si ritrova ingabbiato un minestrone che non fa tornare a galla le (poche) buone idee di questo film.
Attori poco in parte e poca cura nella profondità dei personaggi fanno il resto, nel confezionare un film che lascia insoddisfatti anche i fan di lunga data della saga. Nei personaggi risiede uno dei problemi più evidenti. Raramente interessanti, ancor più raramente mossi da qualcosa di importante, i personaggi non riescono mai ad essere convincenti o carismatici. In primis Owen e Claire: nel primo film entrambi evolvono, compiendo scelte più o meno sensate, mentre qui non c’è un personaggio carismatico più interessante degli altri. Si alternano tra di loro macchiette e piattume, con in mezzo il cugino mitomane del cacciatore di Jumanji.
Non è tutto da buttare, però, per fortuna
Michael Giacchino, che se ne intende, ci accompagna in questo viaggio con una colonna sonora che fa il suo dovere. Incalzante ed agguerrita quando serve adrenalina, delicata e defilata se c’è da accompagnare. Sarebbe ingeneroso fare paragoni con la storica composizione ad opera di John Williams. Va, però ammesso che il compositore del New Jersey ha confermato la sua grande virtù.
Il Regno Perduto vive di momenti ed il suo momento migliore lo arriva dopo un’interminabile prima parte. Quando il centro dell’azione si sposta ed il film si inizia a tingere di un tono leggermente più cupo, finalmente le cose si fanno interessanti.
Quando il film sceglie (finalmente) la sua strada, iniziano ad esserci scelte più interessanti ed avvincenti. Alcuni artifici registici, i dinosauri protagonisti assoluti e un po’ di azione, che manca nel resto del film, tornano a ravvivare l’interesse.
Il merito principale della pellicola è cercare di allontanarsi da quanto già visto nei capitoli precedenti, però non riesce mai a decidere cosa vuole essere da grande. Quasi tutte le soluzioni adottate per far avanzare la scena sanno di già visto. Anche i “colpi di scena” sono così forzati da far storcere il naso.
Prefigurando uno scenario trito e ritrito (?) e sperando in soluzioni più accattivanti per il terzo capitolo, Jurassic World: Il Regno Distrutto sarà un campione di incassi al quale mancano tante cose, prima di tutto un’anima.
“Di seguito trovate il FilmMediocreRaptor che corre verso incassi stellari.”