Pascal Laugier, il cineasta anticonformista che ha riportato in auge il cinema horror d’Oltralpe, si è nuovamente cimentato nel genere a lui consono con la pellicola dal titolo La Casa delle Bambole – Ghostland.
Il regista francese ritorna a scalfire la quiete del pubblico che già ha avuto modo di essere scosso da Martyrs, opera oltremodo destabilizzante che non teme di valicare i confini dell’accettabilità.
E se già con Martyrs, Laugier era riuscito innegabilmente a far vacillare anche il più impavido spettatore, in Ghostland gli onirici toni che velano il film non voltano comunque le spalle alla cruda realtà che permea straziante le vicissitudini delle protagoniste.
Un horror tutto al femminile
Ghostland dipinge l’orrore vissuto dal nucleo famigliare composto da tre donne connesse da un profondo legame, in procinto di traslocare nella vecchia magione ricevuta in eredità da una zia deceduta da poco.
Alla guida dell’auto si scorge la madre Pauline (Mylène Farmer) intenta nell’ascolto dell’ultimo scritto dell’introversa figlia Beth (Emilia Jones), puntualmente stuzzicata dalla sorella Vera (Taylor Hickson), più ribelle e pragmatica.
Il viaggio delle tre dura il tempo necessario a gettare le basi del dramma annunciato: un imponente camion di dolciumi taglia loro la strada, innescando una reazione nella giovane Vera che lesta e reattiva risponde sfoggiando il dito medio.
Giunte incolumi alla residenza il destino delle protagoniste appare ormai segnato nell’odore di muffa della pacchiana carta da parati, ma soprattutto nel claustrofobico spazio sommerso da bambole antiche, che fissano e inquietano lo spettatore.
Nella notte imminente si consumerà la tragedia: due intrusi penetreranno nella magione, prendendo in ostaggio le due sorelle, segnando per sempre le loro vite.
Un mondo crudele e ovattato tra realtà e fantasia
Un’ellissi temporale conduce lo spettatore sedici anni più tardi.
Beth ha coronato il suo sogno e pare aver sublimato il trauma infantile diventando scrittrice di successo, divenendo un’icona sacra del genere horror al pari del suo idolo H. P. Lovecraft.
Finché una sera la donna non viene travolta da una telefonata di Vera, che chiede scossa il suo aiuto.
La scrittrice decide quindi di fare ritorno alla casa dove si consumò la tragedia, luogo in cui vivono ancora la madre e la sorella e dove il tempo sembra essere cristallizzato.
L’abitazione appare come immutata ed anche la madre pare non esser cambiata, nelle fattezze e nel morboso rapporto con la prediletta figlia Beth.
A differenza della sorella, Vera sembra non aver superato il trauma, intrappolata in un loop di follia, di fronte al quale sia Beth che Pauline appaiono inadeguate e impotenti.
Ma ciò che si vede non è la realtà e ciò che lo spettatore presto dà per scontato, viene maldestramente messo in discussione dal colpo di scena che altro non è che un pretesto per affrontare la vera tematica della pellicola diretta da Laugier: la difficoltà della giovane Beth scissa tra il confortante mondo della sua fantasia e la consapevole sfida posta dalla cruda realtà.
Una casa prigione per le piccole bambole
Con Ghostland, il regista Pascal Laugier dimostra ancora una volta come una sola location possa essere spunto e diletto per una regia descrittiva e d’impatto, per un montaggio ritmato e incalzante.
Sebbene infatti la pellicola non sia interamente ambientata all’interno della casa, la preponderanza della magione erige essa stessa a cosa viva, come se sgomitasse per divenire protagonista.
Quest’abitazione magistralmente scenografata, zeppa di bambole e antiquati cimeli, appare claustrofobicamente gremita come la mente della protagonista.
E come il rassicurante e asfissiante calore della dimora, i meandri della mente di Beth offrono un porto sicuro e insidioso per la giovane donna che deve lottare con la persuasione di un mondo irreale, per essere viva e per essere libera.