Il Torino Film Festival è arrivato alla trentaseiesima edizione. Si tratta di un festival paricolare, distintosi negli anni per le retrospettive ricercate e per l’occhio di riguardo per i titoli fuori dal coro. Da The Florida Project di Sean Baker lo scorso anno a Tony Manero di Pablo Larraín, sono stati tanti i film e gli autori lanciati dal TFF.
Torino è la “città magica” d’Italia: dai film della sezione Afterhours alla tradizionale maratona Notte Horror, la fascinazione per l’insolito e l’esoterico è un leitmotiv del programma (scaricabile dal sito del festival).
Una delle retrospettive di quest’anno è dedicata a Powell e Pressburger, la visionaria coppia di registi inglesi, autori, tra gli altri, di Black Narcissus (1947), Scarpette Rosse (1948) e L’occhio che uccide (1960), tutti proiettati quest’anno. Un altro dei focus è su Jean Eustache, uno dei registi protagonisti della nouvelle vague francese. Poi i film Unforgettables, selezionati quest’anno dal guest director Pupi Avati ed incentrati sui grandi del jazz.
Il cult dunque la fa da padrone, accanto ad opere mainstream ma validissime, come l’ultima fatica di Jason Reitman: è il suo Front Runner, già presentato al Telluride film festival e al Toronto International Film Festival, il film d’apertura, un political drama fuori dagli schemi, gemma assoluta della prima giornata.
The Front Runner – Il Vizio del Potere
Non è facile approcciarsi al biopic politico d’inchiesta: si tratta di un filone di moda, facile a stancare e a ripetersi. Reitman però fa centro, raccontando la storia vera controversa e sorprendente di Gary Hart, candidato democratico alla presidenza USA nel 1984 e nel 1988. Le vicende che lo investono danno da riflettere sul significato della privacy e su come l’evoluzione dei media renda sempre più difficile stabilire dei confini netti tra vita privata e pubblica (la recensione completa qui).
Wildlife
L’opera prima di Paul Dano dietro la macchina da presa è un dramma familiare intenso e un po’ asfissiante. Non riesce nell’intento di coinvolgere ed emozionare, dopo i primi venti minuti continua a girare intorno allo stesso concetto, i personaggi troppo esagerati per essere credibili. Finisce per essere un tour de force estenuante vissuto in prima persona dal giovane protagonista vittima dei genitori in crisi, interpretati brillantemente da Carey Mulligan e Jake Gyllenhaal.
In confronto a quella del protagonista di Wildlife, la situazione di Oliver Twist è invidiabile. La recensione completa è qui.
Pretenders
L’ultima fatica registica di James Franco è un tributo spassionato alla nouvelle vague francese e al cinema di Bertolucci e Antonioni. Pretenders, la storia del triangolo amoroso tra un regista, un fotografo e un’attrice nella New York degli anni ’80, non colpisce al cuore come vorrebbe: tende eccessivamente al melodrammatico, i personaggi diventano prevedibili e i continui riferimenti Godardiani sono stucchevoli.
È ben girato e si lascia guardare, ma il bilancio finale non è positivo.
Mandy
Mandy di Panos Cosmatos è senza dubbio uno dei film rivelazione di quest’anno. Già presentato al Toronto Film Festival, dove ha incantato la critica, questo folle revenge movie horror ha un protagonista d’eccezione: Nicholas Cage. Visivamente folgorante e dai risvolti sorprendenti, la storia del boscaiolo Red Miller a caccia di un gruppo di fanatici religiosi esalta e diverte da pazzi.
Una gioia per gli occhi, molto più di quanto le parole possano spiegare.
La Casa delle Bambole – Ghostland
Il nuovo film dell’autore di Martyrs (2008), Pascal Laugier, è il più esaltante di tutta la Notte Horror del festival. La storia delle sorelle Keller, tormentate da una coppia di maniaci nascosti in un furgoncino dei gelati, passa fluentemente dalle scene splatter ai flash di vita quotidiana tenendo sempre molto alta la tensione e il numero di jump scare.
La recensione completa la trovate qui.
Blaze
La classe di Ethan Hawke non è un mistero per nessuno. Interprete di culto, collaboratore stretto di autori come Richard Linklater ed Andrew Niccol, con Blaze è alla sua terza esperienza come regista e sceneggiatore di un lungometraggio. Il racconto del cantautore country Blaze Foley, valso al suo interprete, Ben Dickey, il premio come miglior attore al Sundance, è un racconto intimo e passionale. Il film ha una struttura interessante, divisa fra più piani temporali, e non mancano le scene emozionanti.
Il risultato finale è comunque a tratti lungo e pesante: ha delle tempistiche da romanzo, che forse sarebbe stato il formato più adatto per questa storia. I pro superano comunque i contro, ed Ethan Hawke si conferma uno dei personaggi più duttili e talentuosi di Hollywood.
Colette
L’attesissimo Colette di Wash Westemoreland (Still Alice) è la versione in costume meno divertente di Big Eyes di Tim Burton. Solo che la protagonista, invece di aprire gli occhi mano mano, detesta il compagno dal minuto diciotto. Un film che si lascia guardare, ma dove c’è ben poco oltre i costumi e le lampade a olio (che a un certo punto diventano elettriche). Keira Knightley è brava e splendida nei suoi bellissimi costumi, ma la storia è mortalmente ovvia. Gabrielle Colette, icona provocatoria dalla mente e dalla sessualità vivace, vive avventure in cui i buoni sono buoni, i cattivi sono cattivi, nessuno ci capisce ma il mondo va avanti, etc, etc. Tutto molto bello, molto giusto e molto poco discutibile, nel bene e soprattutto nel male.
Il film cavalca l’onda di neo femminismo senza aggiungere nulla di nuovo. Un vero peccato, visto che sarebbe il caso di spendere due parole diverse dal solito prima che la moda passi, come ci ricorda Diane Nguyen nell’ultima stagione di Bojack Horseman. Quando la moda passerà noi tutte e tutti saremo ancora qui, si spera che per allora saranno state raccontate cose più importanti per noi tutte e tutti.
Juliet, naked
Avvertenza: se chi scrive non avesse un debole per Nick Hornby ed Ethan Hawke, il giudizio su questo film sarebbe probabilmente meno deliziato, ma tant’è. Tocca a Jesse Perez, il regista della serie HBO Girls, girare l’adattamento de La musica è finita di Nick Hornby. È la storia dell’incontro casuale tra l’inglese Annie (Rose Byrne) e l’ex rocker americano semi sconosciuto Tucker Crowe (Ethan Hawke). Tyler è l’ossessione del compagno di Annie, Duncan (l’esilarante Chris O’Dowd), un professore universitario distratto e nevrotico. La vita di questi tre personaggi si incrocerà nei momenti e nei modi più divertenti possibile.
Un film leggero, ideale per staccare la spina, da abbinare a una bella tazza di tè.
Ride
Un altro attore passa dietro la macchina da presa durante questo TFF, stavolta si tratta di Valerio Mastandrea, uno degli interpreti più richiesti ed influenti del cinema italiano. Toccante e profondo, il suo film affronta un argomento drammatico e urgente come le morti sul lavoro senza eccessi melò. La storia si svolge il giorno prima del funerale di Mauro Secondari, un operaio di Nettuno morto durante il turno in fabbrica. Mentre Carolina (interpretata da Chiara Martegiani), moglie di Mauro, è talmente disorientata dalla morte del marito da non essere ancora riuscita a realizzarla, il figlio di dieci anni Bruno (Arturo Marchetti) si prepara a rispondere alle interviste dei giornalisti con un compagno di classe, e l’anziano padre Cesare (Renato Carpentieri) affronta i sensi di colpa e il ritorno del problematico primogenito Nicola (Stefano Dionisi).
Un film che somiglia al suo regista per come si è fatto conoscere dal cinema italiano: commovente e coraggioso e insieme ironico e divertente, che non scade mai nella retorica.