La casa di Jack (The House that Jack Built) è l’ultimo film di Lars Von Trier presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Cannes. Il film verrà distribuito in Italia il 28 febbraio 2019 e non si hanno ancora informazioni sul visto censura. A seguito della proiezione stampa di oggi, vi è stata una breve conferenza con Matt Dillon (Jack) che ha parlato del suo rapporto col personaggio e col processo creativo della pellicola.
La storia ruota attorno all’ossessività compulsiva di Jack, un ingegnere di mestiere, ma un serial killer a tempo perso che non resiste all’ irrefrenabile desiderio di uccidere. Durante la sua carriera uccide più di 60 persone, ma nel film, che si struttura sulla base di dialogo in voice over tra Jack e Virg (il compianto Bruno Ganz), analizziamo solo cinque di questi omicidi, che Jack definisce “incidenti”.
Le donne non intelligenti
La dichiarazione del regista riguardo al film è stata questa: “Per molti anni ho girato film su donne buone, ora ho fatto un film su un uomo malvagio“. Le cinque uccisioni che vediamo riguardano delle donne, non rappresentate come personaggi astuti, ma insicuri ed ingenui. Nel film, il personaggio di Uma Thurman è tanto insistente nel chiedere un passaggio a Jack quanto irritante nei suoi dialoghi, che lo spettatore si immedesima nel serial killer; così come un’ altra vittima, chiamata Simple (semplice) dimostra tanta sciocchezza quanta stupidità. Come specificato da Jack a Virg, così come da Matt Dillon stesso (durante la conferenza), Von Trier non ha voluto sottolineare che le donne siano più ingenue o deboli degli uomini, quanto, siano delle vittime più facili da uccidere per Jack, similmente a quanto avviene nella caccia.
La giustificazione nell’arte
I dialoghi con Virg sono decisamente profondi, tuttavia non tra i più significativi che Trier abbia mai scritto. C’è un tono più didascalico rispetto agli altri film, i quali erano decisamente più metaforici e criptici. Il serial killer è un’artista fallito, che vorrebbe costruire una casa, ma non trova il materiale adatto, che vorrebbe costruirsi una famiglia, ma non ci riesce, che vorrebbe provare empatia, ma non può. Fondamentalmente, è un essere cinico e apatico. Crede che nei suoi omicidi ci sia una luce divina che alluda alla creazione artistica. Vuole veramente creare delle opere d’arte tramite i suoi “incidenti”, ma così facendo, giustifica assolutemente la mancanza d’amore o compassione nell’arte, rimpiazzandoli con la lucida freddezzza con la quale commette i suoi omicidi.
Il Black Humor
Matt Dillon, durante la conferenza, ha dichiarato che ha dovuto distaccarsi dal personaggio così da non giudicarlo. Ha lavorato sulla sottrazione, cercando di liberarsi di coscienza ed empatia. Tutto ciò gli riesce appieno, regalandoci una delle più grandi performance della sua carriera. Tuttavia questo distacco col personaggio, che coinvolge lo spettatore insieme a Dillon, non lo si ha durante alcuni momenti fortuiti che Jack vive. Il personaggio è decisamente fortunato in determinati eventi e, la sua fortuna, legata all’assurdità della situazione, regala momenti di macabra ilarità. Von Trier è riuscito a far sorridere un pubblico in un film in cui si uccidono bambini. Lo spettatore è divertito sia per l’ingenuità con cui le donne si “tuffano” nella morte certa, che nella capacità meticolosa che ha Jack di coinvolgere le sue vittime con le sue plateali ma convincenti menzogne.
L’infanzia di un killer
Non c’è, allora, dell’amore in Jack o nel film in generale? Sì. Un po’ nei moralismi di Virg, che sembra pilotarlo nella coscienza che non ha, un po’ in alcuni flashback che ci vengono mostrati. È chiaro che l’istinto omicida di Jack si manifesti in tenera età, tuttavia ci sono dei momenti in cui capiamo cos’è che piaceva al Jack bambino ovvero quale sarebbe la sua idea di paradiso. Ma, inevitabilmente subito dopo, capiamo quale oscura perversione si manifesterà nel suo futuro.
L’inferno
Senza fare spoiler, si sappia solo che, la catabasi, intesa come discesa all’ inferno è un tema centrale nel film. Non solo perché Jack è, mataforicamente parlando, un diavolo che cammina sulla terra ma perché, nei suoi omicidi, c’è un disegno ben preciso che traccia un itinerario per l’inferno. La sua casa è lastricata di cadaveri e la vera catabasi è quella all’interno dell’animo umano. Il materiale divino, tanto cercato, per costruire la sua casa forse risiede nelle stesse vittime nelle quali ricerca empatia, caratteristica della quale Jack è del tutto privo.
La casa di Jack è un film da respiro molto ampio (165 minuti, divisi in 5 capitoli più un epilogo). Fotografia opaca alla Nymphomaniac e regia immersiva, viva e convolgente di Von Trier sono decisamente note da sottolineare nel film più vicino per pensiero al regista danese. Lo stesso Dillon ha ammesso che Trier ha molto in comune con Jack, ma si tratta solo di un’osservazione, come per lo spettatore, di un particolare caso umano. Il film si contraddistingue per il suo tratto documentaristico con i suoi primi piani con camera a spalla e zoom, le sue panoramiche a schiaffo che delineano un interesse giustificato sia per gli omicidi che per la natura grottesca e malvagia dell’animo umano. La casa di Jack è un itinerario nell’arte dell’uccisione e nei nostri più oscuri incubi e istinti omicidi.