Perché la gente ama gli horror? Perché ama spaventarsi, vedere qualcosa che la terrorizza e sopravvivere… Ok, va bene, la domanda è mal posta, facciamo: perché la gente continua a vedere gli horror se l’unico modo che i cineasti hanno per spaventare gli spettatori è infilare un mostro in CGI dietro ogni angolo? Qui la cosa si fa più complicata. Perché chi ama gli horror continua a vederne imperterrito, sperando che il prossimo sia in grado di lasciargli un briciolo di quello che gli ha lasciato Halloween a dodici anni, o The Ring a quattordici, Scream a sedici e chi più ne ha più ne metta. Eppure nove volte su dieci ci si ritrova di fronte a un pattern replicato sempre uguale, a meccanismi che scattano inesorabili; non si salta più per la paura, ma per esclamare “Te l’avevo detto che stava nascosto dietro al frigo!”. Ed ecco che l’horror diventa comfort, una casa comoda in cui tornare con l’impressione di averne il controllo. Ogni cosa al suo posto. Finché un giorno torni a casa e trovi qualcosa di diverso. E all’improvviso la casa torna nuova.
Ecco, con Noi di Jordan Peele ci si trova davanti a quell’unica volta su dieci in cui il film lascia qualcosa. In particolare a quella volta su trenta in cui lascia anche di più: un mondo, una visione e perfino un senso di tristezza verso la fine. Jordan Peele, golden boy dell’horror dopo Scappa – Get Out del 2017, non ha affatto sofferto della sindrome dell’opera seconda, realizzando un film “politico”, estremamente personale, che ricorda a tutti cosa significa lottare per sopravvivere.
Il film ha già incassato 93 milioni di dollari in tutto il mondo prima di uscire in molti paesi. In Italia uscirà il 4 Aprile. Mentre si parla di un film come Noi può capitare che balzino in mente certi luoghi comuni associati ai film horror. Dopo averlo visto sarebbe divertente vedere quanti sono stati rispettati (SPOILER: nessuno).
I neri muoiono sempre per primi
Adelaide (una spettacolare Lupita Nyong’o) e Gabe Wilson (Winston Duke) sono in vacanza con i figli Jason (Evan Alex) e Zora (Shahadi Wright Joseph) a Santa Cruz, dov’è la casa d’infanzia di Adelaide. Gabe, vivace e solare, non si spiega il malumore della moglie. Il ritorno di Adelaide a Santa Cruz ha scatenato spiacevoli ricordi: una sera, da bambina, si è allontanata dai genitori trovando rifugio dalla pioggia nella casa degli specchi di un luna park. Si è tenuta dentro cosa vi ha visto per molto tempo, ha a malapena il tempo di confessarlo a Gabe quando qualcuno appare davanti alla porta della casa dei Wilson. Una famiglia identica a loro; sandali ai piedi e sgargianti tute rosse addosso; pessime e misteriose intenzioni; un racconto da brividi dietro la loro presenza.
Noi è il genere di film con premesse talmente esaltanti che basta poco a scatenare la curiosità di andarlo a vedere. Per gli amanti dell’orrore sarebbero più che sufficienti, ma c’è anche molto altro.
Sopravvive solo la vergine
Noi è un film in grado di suscitare molte emozioni. Oltre alla paura, c’è la curiosità di capire le regole del gioco e l’intera storia, e alla fine sarà difficile uscire dalla sala senza un senso di vuoto. Vietato vederlo in streaming e/o da soli. Una volta finito ci sarà bisogno di una birretta e di un amico con cui parlare. Qualcuno con cui dormire è consigliato ma non indispensabile.
La visione del regista è molto precisa, musica e messinscena sono al suo servizio e la loro qualità ne innalza il livello. Tutto contribuisce a raccontare quella che è una terrificante storia sulla lotta per ottenere il proprio spazio e il proprio tempo. Come chi ha lottato per avere il proprio spazio e il proprio tempo nel mondo del cinema; categorie invisibili, non rappresentate, costrette a copiare con sofferenza lo status quo senza riuscire a dare del loro. Guarda caso, sono gli stessi contro cui si scagliano i luoghi comuni che danno il titolo a questi paragrafi. Ecco l’autore, ecco l’urgenza di questa storia.
Solo i buoni tornano a casa
Sono in molti ad aver definito Noi un film “politico”, ad aver sottolineato come si tratti di una potente metafora. Definire un film politico sembra un nuovo modo per dire che racconta più di quello che fa vedere. Non lo dovrebbero fare tutti i film, o almeno quelli fatti bene? Negli ultimi anni, complici case di produzione come la Blumhouse, l’horror sta vivendo una nuova primavera, ma ancora ci si stupisce quando va oltre l’intrattenimento.
In questo caso, si può assolutamente dire che Noi sia un film in grado di sorprendere e suscitare spunti di riflessione, perché si tratta di un film d’autore (infatti non è uscito al cinema il 26 luglio). Il mondo narrativo è coerente e reale pur non prendendosi sempre troppo sul serio (le radici comiche di Jordan Peele emergono in maniera evidente). Insomma, Peele sceglie gli elementi associati all’horror funzionali a raccontare la sua storia e li personalizza in modo intelligente. Si può dire così, o si può urlare al “film politico” buttando in campo una serie di metafore individuate nel film. I doppi cattivi come la parte bestiale che emerge al tempo di Trump? I doppi cattivi come una critica alla borghesia americana inerte durante l’amministrazione Trump? Siamo i peggiori nemici di noi stessi e per questo abbiamo votato Trump? Tutto giusto, una vale l’altra, l’importante è che la visione scateni delle riflessioni sul mondo di oggi. Magari un pochino più elaborate di quelle sopra elencate, eh.
It’s business, man!
Si potrebbe pensare che il genere e il mainstream premino chi gioca sul sicuro, chi canta sempre la stessa canzoncina senza metterci del suo. Facile, consolatorio e anche un po’ agé: fa tanto Yuppie di sessant’anni deluso dalla vita. Non è così. Basta leggere i titoli di questi paragrafi per capire quanto i luoghi comuni degli horror siano sbagliati, oltre che noiosi e scontati. Registi, produttori e sceneggiatori forse se ne sono approfittati, ma davvero il pubblico non è mai stato in grado di chiedere di più? Davvero ci siamo limitati ad accontentarci? Meritiamo di essere spaventati da qualcosa di triste, bellissimo, vero, misterioso, che ci sorprenda come quando eravamo bambini. Qualcosa che ci dimostri che si può raccontare senza essere sequel, spin off, remake o live action.
Non si deve credere a chi dice che è stato raccontato tutto, che si è bombardati di informazioni e immagini ogni secondo e non ci si emoziona più vedendo nulla. Ci si inaridisce pensando con un ghigno che i neri moriranno per primi, seguiti dalle donne che scopano e da quelli che fumano le canne. Perché quando arriva una testa pensante in grado di mettersi alla prova, quando arriva un Jordan Peele, ci si sente meschini ad aver creduto a quelle regole, ad essercisi trovati comodi dentro. Perché serve uno scossone a ricordare che il mondo è di chi pensa, non di chi segue.