La commercializzazione del cinema porterà presto ad aggiornare il termine “generazione” sul vocabolario. Per “generazione” si intende un insieme di persone che ha vissuto nello stesso periodo ed è stato esposto a degli eventi che l’hanno caratterizzato. Sono quindi gli eventi a caratterizzare, da un punto di vista sociale e culturale, la generazione che li ha vissuti. Spesso ci si interroga su quale sia la distanza tra la partenza tra due diverse generazioni e, se una volta si consideravano circa 25-30 anni – ossia il periodo che solitamente intercorre tra la nascita di un individuo e quella di suo figlio – oggi questa distanza si è ridotta a 15 anni. È per questo motivo che ci vengono riproposti ciclicamente i reboot cinematografici: ogni generazione deve avere il suo eroe.
Dopo Batman (1989-2005) e Spider-Man (2002-2017), le major hanno deciso di riportare al cinema Hellboy, il diavolo più famoso dei fumetti, con una storia cinematografica alle spalle di un certo spessore. Hellboy (2004) e soprattutto il suo sequel, The Golden Army (2008), entrambi diretti da Guillermo Del Toro, sono due pietre miliari dei cinecomic. Il primo, ironico e leggero, aveva una struttura classica nella narrazione, ma una ricercatezza unica nella messa in scena. Il secondo, capolavoro del genere, era pregno di idee ed aveva permesso al regista di far esplodere la propria sconfinata fantasia in ogni inquadratura. Nonostante un finale aperto, ma suggestivo, non è mai stato finanziato un terzo e conclusivo capitolo, per via di incassi buoni ma non eccezionali. A 15 anni esatti dall’uscita al cinema di Hellboy, è stato quindi prodotto il reboot della saga e, per reggere il confronto con i film Del Toro, è stato chiamato uno dei registi più promettenti degli anni 2000: Neil Marshall.
Il figlio del Diavolo e dei Nazisti
Per metà umano e metà demone, Hellboy è un detective del BPRD (Bureau for Paranormal Research and Defense) che protegge la Terra dalle creature demoniache che la minacciano. Chiamato in Inghilterra per una nuova missione, scoprirà le sue origini e affronterà Nimue, la Regina di Sangue, un’antica strega resuscitata dal passato e assetata di vendetta contro l’umanità.
Arriviamo subito al punto: Neil Marshall non ha sbagliato il film, ma chi entra in sala deve sapere a cosa va incontro. Dimenticatevi la profondità della narrazione, la sfaccettatura dei personaggi e le diverse chiavi di lettura della trilogia mancata di Del Toro. Questo reboot è costruito con un ritmo forsennato, è 100% azione ed effetti visivi (ma pochi effetti speciali) e non conosce mezze misure. La filmografia di Marshall ci dice molto su quanto il regista ami l’horror e probabilmente non poteva esser scelto regista emergente migliore di lui per raccogliere la pesante eredità di Guillermone. Con Hellboy però, Marshall abbandona il genere a lui più congeniale per abbracciare toni più gore e splatter. Non potrà poi non colpire lo spettatore la fantasia e l’originalità del design con cui il regista caratterizza i mostri che vediamo nella storia: draghi, orchi, fate, streghe, demoni e giganti sono tutti ben realizzati e riconoscibili.
Be or not to be… Movie
Una produzione fieramente B-movie, che accontenta sia l’animo dell’autore del fumetto Mike Mignola, sia il regista Neil Marshall che, proprio come Del Toro – anzi, senza scomodare per l’ennesima volta il regista messicano, aggiungiamo “e Sam Raimi” – dopo diverse pellicole horror si confronta col cinefumetto. Il confronto purtroppo non lo vede vincitore, i primi due Hellboy– così come i due Spider-Man (ah ce ne sarebbe pure un terzo? Davvero?) – sono nettamente di un altro livello. Ma non per questo deve essere bocciata a priori una pellicola dove emerge la passione ed il sincero entusiasmo nell’averla realizzata. Da parte del regista, certo, ma anche del cast.
Un cast promosso a pieni voti, con David Harbour – lo sceriffo Hopper di Stranger Things – che fornisce una prova davvero convincente. Il suo supereroe demoniaco è molto più estroverso e libero di fare ciò che vuole rispetto a quello dell’attore feticcio di Del Toro, Ron Perlman. La caratterizzazione del personaggio cambia totalmente anche quelle che sono le ambientazioni principali. Se il protagonista di Del Toro era una creatura costretta a nascondersi e relegata ad un mondo sotterraneo, quello di Marshall è libero di muoversi nel mondo. Da un contesto tetro, chiuso e metropolitana si passa a riprese in campi aperti nelle sconfinate campagne inglesi.
I co-protagonisti funzionano, più Sasha Lane (che abbiamo conosciuto nel film vincitore del Sundance Film Festival 2018, La diseducazione di Cameron Post) di Daniel Dae Kim e Ian McShane. Ma è con l’antagonista che Neil Marshall ha potuto avvalersi di una delle attrici più sottovalutate di Hollywood. Milla Jovovich, oltre ad aver scoperto la ricetta per l’eterna giovinezza, ha un talento per scegliere ruoli nelle produzioni più sconclusionate. E nonostante ciò le affronta sempre nel migliore dei modi.