Dove eravamo rimasti? Prima di El Camino Walter White aveva compiuto il suo ultimo tragico e spettacolare gesto, liberando dalle mani dei suoi aguzzini l’incolpevole, o quasi, Jesse Pinkman. E adesso? È proprio questa la domanda che si pone il maestro Vince Gilligan. Il regista ci ha abituato ad un determinato modus operandi: ritmi lenti ed un’analisi profondamente introspettiva delle motivazioni che spingono i suoi personaggi a compiere determinate azioni. Soprattutto ha dimostrato un grande amore per i suoi personaggi, amore che lo ha spinto a riprendere in mano quanto sarebbe stato considerato perfetto già così per aggiungere un post scriptum, una nota dell’autore.
El Camino è questo, una nota a pie’ di pagina utile ad approfondire gli attimi finali della storia di questi personaggi. Il film infatti riparte direttamente da dove aveva lasciato la narrazione. Jesse sta sfrecciando a tutta velocità verso la libertà, quella libertà che riserva a lui ed al suo futuro un grande punto interrogativo: Cosa farà con questa libertà?
Il film richiama in tutto e per tutto quello che abbiamo imparato ad apprezzare in Breaking Bad. Una storia personalissima che viene raccontata alla Gilligiana maniera. Il film, urge specificarlo, non nasce da necessità di produzione, ma di un’urgenza autoriale del padre di Walter White. Già con Better Call Saul il regista ha dimostrato di saper utilizzare in maniera intelligente il mondo da lui creato. La serie con Bob Odenkirk ha riscosso un successo di pubblico e critica universale, consacrandola tra le migliori del palinsesto Netflix. El Camino arriva per rompere una tradizione di produzioni altalenanti tra i lungometraggi targati Netflix.
La mano cinematografica che muove i fili è di quelle che conoscono il mestiere. Un lungo racconto catartico per regalare un’ultima avventura a quel Jesse che avevamo lasciato in un’auto in corsa. In questo che sembra in tutto e per tutto un episodio della serie madre, semplicemente più lungo. Questa lunghezza permettte, però, all’autore di regalarci una storia degna di nota divisa in due atti distinti. Un primo atto di ricerca e costruzione, un secondo atto di distruzione e riparazione.
La scala di El Camino è ridotta rispetto a quanto siamo stati abituati a vedere in Breaking Bad. Dimenticate cartelli della droga, narcos, DEA e lotte in larga scala, in questo lungometraggio il protagonista è l’uomo e la sua rinascita. La focale non si allontana mai da quello che è rimasto di Jesse dopo la reclusione in quella gabbia, costretto a lavorare per Todd e la sua famiglia. Le seconde occasioni si dice che siano merce rara, adesso Jesse lo scoprirà sulla sua pelle, visto che per avere la sua dovrà darsi un gran da fare.
La forza assoluta di Breaking Bad risiedeva nella sceneggiatura, dialoghi diretti, mai annacquati. La stessa virtù è presente in piena salute in El Camino. La fotografia saturata delle soleggiate giornate di Albuquerque si divide con le notti in fuga dell’unico sospettato della cittadina del New Mexico.
[SPOILER ALERT – PROSEGUITE SOLO SE AVETE GIÀ VISTO “EL CAMINO”]
Necessario o no, questo ritorno nel New Mexico è stato un viaggio di sola andata. Infatti la certezza che abbiamo, dopo aver visto El Camino, è che Vince Gilligan ha fatto pace con Jesse Pinkman e, soprattutto, con sé stesso. La necessità di regalare la tanto agognata tranquillità a quel Jesse che aveva detto un chiaro e netto “I’m Out”, “Ho chiuso.” La sensazione che si ha alla fine di El Camino è che questa volta l’addio è di quelli definitivi. Sciolti gli ultimi nodi è tempo di ormeggiare la barca e proseguire a piedi. Jesse si sveglierà di soprassalto, si scoprirà a guardarsi intorno con timore, ma stavolta il destino è nelle sue mani, come lo è la sua nuova vita lontano da quello stile di vita che ha richiesto un prezzo così grande.