A quasi una settimana dall’uscita nelle sale italiane torniamo a parlare di Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, il film che sta facendo discutere tanto in tanti. La nostra seconda recensione (la prima, senza spoiler, la potete trovare qui) conterrà spoiler in maniera smisurata quindi, se ancora non aveste visto il film è sconsigliata la lettura di questo articolo.
Ciò detto lanciamoci nell’analisi di un film (non lo chiameremo mai “prodotto”) che va a concludere nelle intenzioni, e nei fatti, una saga cominciata nel 1977 con l’uscita di Star Wars: A New Hope e conclusasi proprio in questo 2019, dopo oltre quarant’anni di onorato servizio.
Il presupposto
A dirigere Star Wars: L’Ascesa di Skywalker è stato chiamato (o richiamato) quel J. J. Abrams in sintonia con George Lucas fin dalla trilogia prequel sulle origini di Darth Vader, e che ora si trova in perfetta simbiosi e a suo agio con le direttive di Disney. Questo ultimo film, diciamolo da subito, non conserva nulla o quasi dello stile che ci ha fatto vedere in passato il regista. Fin dall’inizio della pellicola, si avverte non solo lo stacco tra questo Episodio IX e il tanto criticato Episodio VIII diretto da Ryan Johnson, ma anche una cesura netta con Star Wars: Il Risveglio della Forza.
Il montaggio è serratissimo e non lascia allo spettatore neanche il tempo di riflettere su quanto sta succedendo sullo schermo, il che tutto sommato è un bene, visto che in pochi minuti (circa venti) viene dato alle fiamme quanto costruito e suggerito proprio da Ryan Johnson ne Gli Ultimi Jedi. Inutile sarebbe mettersi a cercare di dirimere l’annosa questione sulle scelte fatte per Episodio VIII anche perché l’unica cosa da registrare davvero che non ricada nelle sabbie mobili dell’opinione, sarebbe il coraggio di Johnson nel voler rispettare lo spirito profondo di Star Wars (con quel dialogo sublime tra Yoda e Luke davanti al rogo dei testi Jedi), pur spingendo la saga verso una direzione nuova che non si adagiasse su continui cliché e ripetizioni di quanto già visto in passato.
Il pressapoco
Invece la scelta di Abrams è andata in senso del tutto contrario. In Star Wars: L’Ascesa di Skywalker si è deciso di chiudere la porta al coraggio dando ai “fan” ciò che volevano, e cioè una sequela di già visto e di storia che si ripete. Se Kylo Ren ci era sembrato un antagonista debole nell’animo e forte nel fisico, incapace di tornare sulla retta via e ispirato dalla figura malvagia del nonno, qui lo troviamo ancora più combattuto e destinato a ripetere la redenzione sacrificale di Anakin. Cliché? Cliché. Appaiono anche fantasmi a destra e sinistra, ora Han Solo, ora Luke Skywalker, cosa non si fa per i fan…
Non solo: l’intera pellicola è colma di scelte per nulla coraggiose che riportano sullo schermo situazioni già vissute, con personaggi che ricalcano gli archetipi di quelli della trilogia originale. Basti citare Poe Dameron simile a Han Solo nella spigliatezza il quale risulta comunque essere una mera caricatura del personaggio magistralmente impersonato da Harrison Ford e, a conti fatti, non sia che un enorme cliché lui stesso. Inoltre Abrams ci aveva assicurato, poche settimane prima dell’uscita del film nelle sale, che avremmo scoperto di più sulle origini di Finn ma in verità qui non si scopre un bel niente su di lui. Se ciò non bastasse, a condire un film davvero scevro di contenuti ci si mettono anche i buchi di sceneggiatura.
Il troppo poco
Nella prima parte del film vediamo continuamente Finn cercare di dire “qualcosa” a Rey ma senza mai riuscirci per un motivo o per un altro. Vuole dirle che è segretamente innamorato di lei? Che sente tremiti nella Forza e che ha presentimenti? Il film non lo svela ed è un enorme errore perché, per quanto ne sappiamo, non c’è un seguito a questa storia. Che questo sia un errore lo certifica il fatto che a seguito dell’uscita del film, J. J. Abrams ha dovuto rivelare cos’è che Finn voleva dire a Rey, e cioè che per un inspiegabile (e inspiegato) motivo anche lui è sensibile alla Forza.
Rose Tico, che in Star Wars: Gli Utlimi Jedi sembrava aver ricoperto una parte da tutti considerata risibile, in questo film viene del tutto annientata e diventa praticamente una figurante, così come non si capisce la necessità dell’inserimento di Keri Russell nel film che, di fatto, resta a schermo per non più di quattro minuti, giusto il tempo di fare due faccette, una con e una senza casco. Di più: non può vantarsi di nulla nemmeno la bravissima Naomi Ackie, inserita nella pellicola in modo del tutto pretestuoso e il cui unico ruolo sembra sia quello di introdurre delle cavalcature all’interno della saga cinematografica.
Lo stesso dicasi di Billy Dee Williams, riportato sullo schermo come se questo fosse un “dovere” ma poi lasciato a marcire in due minuti di pellicola. Accanto a queste figure abbozzate come dei Prigioni michelangioleschi ci sono figure che dovrebbero spiccare. Una su tutte: l’Imperatore Palpatine impersonato da un invisibile Ian McDiarmid. Sì, perché per tutto il film ci saranno massimo due sequenze in cui l’attore non è ritoccato pesantemente dalla computer grafica e dal trucco digitale. Anche Leia, sebbene la scomparsa di Carrie Fisher non permettesse di più, denuncia una messa in scena frettolosa e poco avveduta del personaggio.
Il troppo
Se una metà della pellicola è viziata dagli errori e dalle sviste sopra-descritte, la seconda è anche peggio, con una cadenza che va a mostrare come gli utilizzatori della Forza siano in grado di fare qualsiasi cosa. A parte una Rey in grado di curare ferite tramite la Forza (cosa accettabile ma messa su schermo in modo pretestuoso e troppo frettolosamente), è il finale del film a regalare quanto di più sconcertante quest’opera abbia da offrire. La Forza viene trattata come il mezzo eccelso e superumano in grado di cavare d’impaccio il regista da situazioni in cui non ci sarebbe bisogno di spettacolarità visuale visto che ci si trova alla battaglia finale di una storia lunga nove film.
Ecco allora che Rey e un redento Kylo Ren danno il peggio di sé (come personaggi). La spada laser di Rey viene teletrasportata tramite la Forza a Ren in una scena che ai fan accaniti della saga non può non essere sembrata ridicola ed esagerata. Come esagerata e ridicola è la battuta di Rey durante lo scontro con Palpatine: «Io sono tutti i Jedi!», simile a quanto già udito in Avengers: Endgame e altri film targati Marvel. Peccato però che Star Wars non sia un cinecomic e che quella frase suoni davvero imbarazzante.
A conti fatti sono troppe le questioni che non tornano in questo film, che ha cercato di accontentare più coloro che hanno criticato Episodio VIII rispetto ai cultori di Star Wars. Invece di far apparire una flotta dal nulla sarebbe stato interessante far capire allo spettatore quando e come essa è stata costruita. Invece di dare a Rey il potere di trasferire la vita sarebbe stato utile far vedere allo spettatore quanto duro addestramento ci fosse voluto per raggiungere tale potere. Star Wars: L’Ascesa di Skywalker svolge il compitino e non osa mai, non fa nulla di inaspettato e dà agli spettatori un film per gli occhi, dimenticando il cuore e la filosofia di Star Wars.