La chiusura della sesta stagione di The Walking Dead ha indubbiamente suscitato non poche polemiche: la presenza di un cliffhanger delle proporzioni di quello adoperato, per mantenere ad altissimi livelli – forse eccessivi – la suspance, si è dimostrata una lama a doppio taglio, ma è altrettanto vero che, nonostante le proteste dei fan di tutto il mondo, a seguire l’esordio di questa settima stagione siano stati in tanti.
La curiosità serpeggiava tra i fan, vista l’assenza anche soltanto di rumor riguardo chi potesse essere la vittima predestinata di Lucille, la fedele compagna di Negan (che si candida prepotentemente a supercattivo definitivo della serie, con buona pace di tutti i suoi predecessori), con praticamente documentate le scene delle morti (come si evince da uno dei pipponi mentali del povero Rick Grimes) di ogni singolo personaggio inginocchiato; e non c’è voluto poi molto per venire a capo dell’arcano. Era Abraham lo sventurato prescelto, il “roscio”, come ribattezzato dallo stesso Negan. Fa male, certo, ma non era una perdita eccessiva: diciamocelo, è arrivato nel gruppo da poco ed era uno dei papabili al sacrificio, pur di veder salva la pellaccia dei veterani della serie. Fine della storia? Ma certo che no! Passano soltanto pochi minuti e Lucille si abbatte impietosamente su uno dei personaggi chiave dell’intera epopea televisiva di Robert Kirkman: è questa volta Glenn a dover soccombere, dopo un piccolo, tenero siparietto con la sua Meg, inevitabile nonostante la grave menomazione del volto. Una perdita che fa male ai fan di lungo corso, un calcio nello stomaco, un colpo al cuore: l’incarnazione stessa della serie televisiva, il sopravvissuto per eccellenza, colui che, a differenza della breve vita di cui lo stesso Kirkman lo ha dotato nel fumetto, non si arrende mai, venendo fuori da situazioni praticamente impossibili, ma che non hanno fiaccato la sua voglia di vivere. La morte del combattente è la morte di coloro che si rispecchiavano in lui, ovvero un po’ tutti: nessuna caratteristica speciale, nessuna abilità con la balestra, o addestramento militare, o conoscenza medica. Semplice e puro spirito di sopravvivenza, l’esaltazione del Darwinismo.
Ebbene, è proprio questa dipartita eccellente che mi ha fatto riflettere, perchè proprio non riuscivo a spiegarmi il motivo per cui un personaggio tanto intrigante, dallo spessore caratteriale invidiabile, dovesse morire in un modo così crudele.
Una cosa che mi ha colpito è stata infatti la ridondanza di una specifica sequenza di frasi, pronunciate da Negan verso il protagonista della serie, Rick: “Tu sei mio… quelle persone, laggiù, sono mie… questa (indicando l’accetta), questa è mia”. Un’espressione che si ripete ben oltre la fase iniziale della puntata, con lo stesso supercattivo che rincara la dose nelle fasi finali: “Puoi ancora vivere una vita bella e produttiva, se lavorerai per me” – e ancora, dopo pochi minuti – “Rick, tu rendi conto a me, lavori per me, appartieni a me, giusto?”.
Frasi che sembrerebbero avere un significato univoco, se a pronunciarle è il personaggio di Negan. Ma se a dirle fosse stato qualcun altro? Magari un produttore della serie? Magari a qualche attore che aumentava le proprie pretese economiche in virtù della consapevolezza di ricoprire un ruolo preponderante all’interno della storia? Tutto questo assumerebbe altri contorni. Poco scalpore avrebbe fatto la singola morte del povero Abraham, ma quella di Glenn fa rumore (anche e soprattutto per la sua natura estremamente “gratuita”), e molto, proprio per la sua importanza nel tessuto narrativo della controparte televisiva di The Walking Dead: un sacrificio necessario da parte della Fox, per ribadire che tutti sono utili ma nessuno è indispensabile? È allora la Fox stessa a calare Lucille sulla testa del malcapitato Glenn, per tenere sotto controllo il resto della troupe e, magari, levigare i vari cachet, lievitati a causa dell’aumento di personaggi di spicco? Probabilmente non lo sapremo fino alla chiusura della serie, come altri esempi eccellenti di produzioni del passato più o meno recente (si veda The O.C., dove tennero banco le motivazioni degli sceneggiatori riguardo la morte di Marissa), visti gli strettissimi vincoli di riserbo in merito alle scelte operate a livello di trama.
Certo è che, valide o meno che siano le spiegazioni, questa settima stagione ha molto da fare per recuperare l’affetto che, un po’ col cliffhanger di fine sesta, un po’ con queste dipartite eccellenti, è indubbio che possa essere progressivamente scemato. Staremo a vedere.
N.B.: L’articolo qui presente è da prendere in considerazione come mero opinionismo, frutto delle elucubrazioni mentali dell’autore.