La storia cinematografica di Predator è quasi sempre stata se vogliamo un gigantesco – e caciarone, spesso divertente – “vorrei ma non posso”. Sebbene i film della serie regolare siano stati 4, con in aggiunta gli altri due del super altalenante franchise parallelo di Alien vs Predator, alla fine possiamo dire che in 35 anni di storia non è che abbiamo imparato tantissimo in più su questi treccioluti alieni dopo il loro esordio nel 1987. E soprattutto non si è quasi mai sperimentato, andati fuori dal seminato, provato qualcosa di nuovo. Il parallelismo con Alien è immediato e obbligatorio, e onestamente poco felice per Predator.
Se infatti per quanto riguarda Predator, dall’indimenticabile originale di John McTiernan con Arnold Schwarzenegger ci si è più o meno sempre mossi nella stessa direzione senza osare particolarmente – e la qualità dei vari sequel è stata quantomeno discutibile – non si può certo dire lo stesso degli xenomorfi, che nelle loro varie avventure hanno spesso cambiato genere e ampliato su pellicola il loro mondo, trovando nuovi protagonisti, esplorando nuovi generi (pensate anche solo alla differenza tra Alien e Aliens) e linee temporali. Ma proprio su quest’ultime arriva in soccorso a Predator, circa 4 anni dopo l’ultimo film uscito al cinema, questo bellissimo Prey, forse il livello più alto mai raggiunto dalla serie dopo l’originale (e se la gioca pure con quello).
Un nuovo inizio per Predator
Al debutto direttamente in streaming su Disney Plus (peccato capitale non averne potuto goderne al cinema) il 5 agosto 2022, Prey è diretto sapientemente da un promettentissimo regista al ritorno dietro la macchina da presa 6 anni dopo il suo super interessante esordio in 10 Cloverfield Lane: Dan Trachtenberg. Dimenticate i super muscoli di Schwarzie e le mitragliatrici e spostiamoci nei boschi degli Stati Uniti di 300 anni fa, tra teepee, frecce e un po’ di sana – classica della serie ormai – pittura facciale.
Perché Prey inaugura un nuovo corso per Predator, sia da un punto di vista narrativo che dietro la macchina da presa. Il talento più “intimista” e “teatrale” di Trachtenberg si vede subito, in un approccio registico ricco di piani sequenza e dedicato molto alla natura del mondo di Prey, abbandonando da subito i toni caciaroni e militaristici dei film precedenti. Una mossa dobbiamo dire molto apprezzata che modernizza il prodotto, ma non pensiate che Prey sia un’avventura dai toni più miti, nossignori: è invece una delle pellicole più violente degli ultimi anni. Sono innumerevoli le scene d’azione da ricordare, le quali a tratti non includono nemmeno il cacciatore, nelle quali il team ci ha messo una buona dose di inventiva per “pareggiare” i conti e usare l’intelligenza umana per rendere una sfida tra nativi americani e un super tecnologico alieno quantomeno credibile (nella maggior parte dei casi).
Da predatore a preda
Senza dubbi Prey resta un film di Predator e non ci mette molto tempo a dimostrarlo: nei primissimi minuti, dopo che avremo fatto conoscenza con la tribù dei Comanche e le loro terre nel 1719, una luce nel cielo annuncerà l’arrivo di un cacciatore a noi tanto conosciuto e le sue tecnologie.
Tecnologie che questa volta saranno ancora più aliene che in passato alle persone che abitavano gli Stati Uniti di quell’epoca. È davvero interessante vedere le reazioni della tribù alle prime scorribande del predatore dalle stelle: si tratta di un animale? È un segnale degli dèi? Il divario tecnologico e sociale però non fermerà i Comanche dall’affrontare con coraggio il nemico, sorretti da un leader silenzioso (e dal suo cane).
Perché a guidare la carica contro il Predator non c’è una vera stella del cinema, un eroe tutto muscoli e armi pesanti, bensì un popolo, alle spalle della bravissima Naru portata in scena da Amber Midthunder, attrice di estrazione proprio nativa americana e al suo primo ruolo importante al cinema, vera rivelazione della pellicola con la sua determinazione e forza che va al di là di quella bruta e funge da ottima spina dorsale di un film sorprendente.
Prey è veloce, spietato, violento ma mostra anche un lato più sensibile, inedito per la serie, portandola forse ai livelli più alti dall’originale, se non qualcosa in più. C’è davvero molto potenziale per tante nuove storie nel mondo di Predator che non siano feste del testosterone stile anni ’80 o carrozzoni crossover con Raoul Bova e Prey ci è sembrato il modo migliore per iniziare questo “new deal” per 20th Century Studios e gli Yautja.