Nel 2010 Benvenuti al Sud, remake italiano del cult francese Giù al Nord, ottenne risultati oltre ogni più rosea previsione sbancando il botteghino e posizionandosi al quarto posto degli incassi italiani di tutti i tempi dietro solo a La Vita è Bella ed ai due blockbuster di James Cameron, Avatar e Titanic. Il regista Luca Miniero, a sei anni da quello strabiliante quanto inaspettato successo, tenta di ripetersi proponendo nuovamente la stessa ricetta vincente: gli attori protagonisti, Claudio Bisio e Angela Finocchiaro (cui si aggiunge per l’occasione Alessandro Gassmann), e soprattutto una trama gravitante attorno all’incontro-scontro tra due culture differenti. Non c’è più religione infatti porta sullo schermo le vicende di una comunità isolana, celebre per la rappresentazione del presepe vivente. Il crollo delle nascite degli ultimi anni in Italia però, ha colpito anche l’isola, e l’unico bambino che negli anni passati vestiva i panni di Gesù, non sta più fisicamente nella culla di legno. La soluzione la porta Cecco (Claudio Bisio), neo sindaco del Comune: chiedere aiuto alla vicina comunità tunisina, che vive sulla medesima isola, ma con la quale non corre buon sangue.
Miniero rappresenta uno spaccato della realtà italiana senza aver la pretesa di imporre una soluzione. L’attualità al servizio della commedia non è sicuramente una novità, anzi, ma viene messa in scena in maniera credibile. La caratterizzazione dei personaggi secondari, che fanno da contorno alle vicende dei tre protagonisti (Bisio, Finocchiaro e Gassmann) è semplice e macchiettistica, perfettamente funzionale alla fiera dello stereotipo nei confronti dello “straniero”, verso il quale i pregiudizi si sprecano. Sono quindi sorrisi amari quelli strappati allo spettatore per un tono sempre goliardico ma velatamente razzista quando ad esempio gli isolani appellano continuamente i tunisini come “kebabbari” o quando Bisio e compagnia al lancio di uno zaino nero da parte di una bambina rientrante da scuola cercano riparo pensando sia una bomba. La critica sociale c’è, ma non è quasi mai graffiante se non a piccolissime dosi, quando ad esempio il personaggio di Gassmann, Bilal, un isolano convertito all’Islam, non fa notare al suo migliore amico d’infanzia Cecco che l’isola dove vivono è spaccata in due e lui è stato l’unico ad avere avuto il coraggio di attraversare questa divisione culturale.
Viene mostrato in varie sequenze del film come in diversi momenti di vita quotidiana ci sia sempre un senso di grande diffidenza da parte di entrambe le parti. Un presepe multiculturale rappresenta quindi un messaggio volutamente provocatorio del regista, per una società che ancora oggi non riesce a superare forti pregiudizi retrogradi. Dove spingere infatti se non sul tema religioso, oggetto delle più controverse e feroci polemiche della società moderna?