“Ciascun individuo gode della libertà di sposare o non sposare una persona di una razza diversa. Tale libertà non può essere violata dallo stato”
Nelle sale dal 16 di marzo, con Loving Jeff Nichols ci regala uno spaccato dell’America degli anni ’50 di cui non si era parlato o visto molto finora, motivo per cui, forse, ci si aspettava qualcosa in più.
Senza troppa presunzione e senza volerne sminuire lo spessore proveremo a spiegarvi cosa di questo film non ci ha convinti e il perché.
“The crime of being marred”
Volutamente giocato sulla polivalenza del proprio nome, “Loving” non è solo una storia d’amore, ma la storia di una famiglia e del suo complesso affermarsi a Central Point, piccolo centro della Virginia.
È la fine degli anni ’50 quando Mildred e Richard Loving, lei afroamericana, lui bianco – interpretati da Ruth Negga e Joel Edgerton, entrambi candidati al premio Oscar come miglior attori protagonisti – decidono di sposarsi e metter su famiglia. Le circostanze non sono particolarmente favorevoli, Central Point vive ancora i retaggi di una politica segregazionista e antirazziale che vieta i matrimoni tra persone di razze diverse. Dopo vari tentativi di separazione, i Loving decidono di emigrare a Washintgon con la speranza di coltivare lì, liberi da ogni forma di restrizione, il sogno di una famiglia.
Dopo aver messo al mondo tre figli Mildred, spinta dal desiderio di tornare nella sua terra per ritrovare gli affetti lasciati, decide di rivolgersi al procuratore generale degli Stati Uniti, Bob Kennedy, perché il sacrosanto ed inviolabile diritto al matrimonio trovi pieno riconoscimento anche in Virginia. Ha quindi inizio una battaglia giudiziaria lunga quattro anni. Il caso Loving giunge alla Corte Suprema il 12 giugno 1967, oggi noto come “Loving Day”. Con parere unanime i giudici americani abrogano tutte le leggi contro le unioni interraziali perché contrarie ai principi di libertà e uguaglianza sanciti dalla Costituzione e dal quattordicesimo emendamento.
Una delicata monotonia
Loving è un film intenso, intimo. I personaggi si muovono con delicatezza senza graffiare, in una fine cornice di rigore e compostezza. Forse è proprio questo a non averci convinto.
Il caso Loving è un caso giudiziario rimasto nascosto tra le pieghe della storia americana, ci si aspettava una trattazione più toccante, più incisiva, più irruenta. Quello che ci viene donato è, invece, un lento susseguirsi di splendidi fotogrammi che si fanno guardare ed accarezzare, senza mai lasciare il segno. Una vicenda tumultuosa che avrebbe potuto – e forse dovuto – incalzare, coinvolgere, mozzare il fiato, ci viene restituita dal regista come fosse una funzione monotona, con un andamento costante che non conosce picchi. Jeff Nichols si limita a proporre la cronaca del caso Loving, senza riuscire ad emozionare; non sfiora nessuna corda, ci lascia solo intuire quanto potesse essere travolgente l’amore di Richard e Mildred – quelli veri – e quanto dura e faticosa, possa esser stata la loro battaglia.
Per questo ci sentiamo di concordare con chi il film si è limitato a definirlo “sobrio”. Le dinamiche giudiziarie, perno della pellicola, fanno solo da sfondo ad una storia d’amore già vista. I personaggi restano costantemente sui propri binari; non ci sono deviazioni, non ci sono gli scontri legittimamente attesi. Si arriva ad una delle più grandi conquiste del popolo americano senza l’enfasi di una vera lotta per i diritti civili. Più che un bel film, Loving è un buon film che ha il merito di portare alla luce una storia altrimenti dimenticata, ma forse non è sufficiente.
Per girare una bella pellicola, non basta una buona storia, bisogna saperla raccontare.