Giovanni è un ragazzo sardo che coltiva il sogno di lavorare nel mondo della moda, cuce vestiti con materiali di recupero e si rifugia nel suo mondo fantasticando su sfilate e modelle. Figlio di un pastore, il ragazzo non è affatto appoggiato del padre e deve occuparsi della sorella minore dopo che la madre li ha lasciati per scappare dall’infelicità del suo matrimonio. Dividendosi tra la scuola, la campagna e i lavori a casa, Giovanni passa le notti cucendo abiti da sfilata nella speranza di coronare le sue ambizioni. Per la regia di Marco Pollini, e distribuito da Ahora! Film e Uci Cinemas, Moda Mia è un’improbabile film che si avvicina solo lontanamente alla “storia vera” da cui è tratto. Nelle sale dal 23 marzo.
La fiera dei cliché
Un adolescente con un sogno e con una famiglia problematica, è sardo e quindi (sorpresa sorpresa) è figlio di un pastore ignorante che non lo comprende. Moda Mia non presenta la trama più originale del mondo ma le premesse per realizzare un film godibile ci sarebbero pure, peccato che per evitare di scadere nel banale ricorra ad espedienti poco credibili per poi raggiungere soluzioni narrative altrettanto banali e scontate.
I personaggi sono stereotipati, le situazioni di conflitto si dissolvono come bolle di sapone ed ogni situazione che dovrebbe avere una qualche valenza onirica o surreale è solo ridicola o del tutto ingiustificata. Per non parlare delle solite banalità riguardanti la Sardegna. Il personaggio del padre è la rappresentazione massima dello stereotipo del pecoraio sardo con il basco, sciatto e ignorante. Ciò risulta al limite dell’offensivo non solo per il popolo sardo – che viene nuovamente racchiuso nel solito stereotipo – ma anche per la figura dell’allevatore, come se i pastori fossero per forza tutti dei bifolchi analfabeti del dopoguerra, anche se il film è palesemente ambientato nel nostro presente. Il bravissimo Pino Ammendola ce la mette tutta nel suo ruolo, che purtroppo proprio non ci è andato giù.
“Trova la monetina”
Siamo rimasti quasi sconcertati da certi espedienti narrativi usati per mandare avanti una storia piuttosto debole. Gli intermezzi in cui il giovane protagonista parla direttamente al pubblico sono piuttosto carini, grazie anche alla bravura del giovane attore, ma sono completamente slegati dal contesto: si presentano come una sorta di video log, anche se non lo è. Dovrebbe essere una sorta rottura della quarta parete nella narrazione interna, ma il ragazzo non narra quasi mai la storia in prima persona, rendendo questi siparietti sostanzialmente inutili.
La passione che il ragazzo ha per la moda ci viene più che altro suggerita a parole, le sequenze delle sfilate sono oltremodo fastidiose: dove la regia dovrebbe dare il suo apice scade miseramente, arrivando ai livelli delle squallide riprese delle fiere di paese nelle reti private. Non un minimo coinvolgimento da parte del ragazzo mentre sta dietro le quinte. Non c’è mai vero pathos, i momenti che dovrebbero essere più significativi sono affrontati con superficialità impedendo l’immedesimazione con il protagonista.
Non parliamo poi delle situazioni che dovrebbero far parte della sfera del surreale. Come per esempio il personaggio del ragazzo misterioso che segue sempre Giovannino, che si potrebbe interpretare come una sorta di angelo custode o di proiezione del suo immaginario, ma che poi nella scena della sfilata tutti lo vedono. O è reale o non lo è, se si vuole invece dare il beneficio del dubbio il farlo vedere da un’intera folla distrugge completamente il surrealismo che dovrebbe aleggiare attorno al personaggio. Dulcis in fundo l’inquietantissima visione della nonna, inserita completamente a caso con una forzatura narrativa che quasi violenta lo spettatore.
La sgangherata “caccia al tesoro” proposta nella seconda parte del film sfiora la demenzialità, anche se il film vorrebbe che venisse presa sul serio: sinceramente non sapevamo più se ridere o piangere.
Non ci sono scuse
Di norma noi di Moviesource cerchiamo sempre di incentivare il cinema di nicchia e a basso costo ma è importante che questo sia di qualità: non è questo il caso. In generale il film sarebbe girato anche piuttosto bene: ci sono un paio di espedienti registici niente male, la fotografia è buona come anche la colonna sonora (eccezion fatta per le sfilate, quelle non si possono proprio vedere). Il problema di Moda Mia sta alla base. La sceneggiatura è debole, puerile e incoerente. Inutile dire che con più soldi a disposizione le cose non sarebbero di certo migliorate, dato che un foglio di carta, una penna e una scrittura decente non costerebbero nulla. Quel che è peggio è che il messaggio del film sta proprio nel fatto che con la passione e il talento anche qualcosa di semplice può diventare un capolavoro, cosa che il film in sé non fa. Imperdonabile.
Il cinema italiano ci ha dimostrato che può essere valido anche senza grandi cifre. Moda Mia risulta invece svogliato e facilone, giustificando le mancanze con monologhi strappalacrime neanche tanto ricchi di fantasia. Noi stessi della redazione siamo stati capaci di trovare almeno una decina di espedienti narrativi che avrebbero potuto rendere il film più coerente e meno ridicolo: sarebbe bastato un dialogo, qualche inquadratura strategica e Moda Mia avrebbe potuto essere molto, molto di più. Se ci siamo arrivati noi che tecnicamente non siamo nessuno, perché non ci sono arrivati loro? Questo è il tipo di superficialità che mina il buon nome del cinema italiano.