Non lasciatevi scoraggiare dal fatto che avete visto già tanti adattamenti della storia di Re Artù sul grande schermo. King Arthur e il potere della spada è un blockbuster confezionato appositamente per essere diverso da tutto quello che è stato prodotto sull’argomento fino ad ora. Guy Ritchie ha voluto sperimentare (e osare!) molto in questa pellicola (il cui soggetto è ispirato a La morte di Artù, opera di Thomas Malory), riuscendo con successo a produrre un film d’azione caratterizzato da un’epicità moderna e scanzonata oltre ad essere fruibile, con eguale divertimento, da varie tipologie di pubblico.
Dopo l’ultimo film su Re Artù (King Arthur del 2004 con Clive Owen e Keira Knithley) è un vero piacere veder tornare la magia come importante componente delle vicende che circondano il re e i suoi compari. La precedente pellicola aveva un taglio estremamente storico, Re Artù era un centurione romano (così come i suoi cavalieri) nel bel mezzo della caduta dell’Impero Romano. Un eroe tra le legioni, un adulto stimato dai suoi uomini.
L’Artù (Charlie Hunnam, già visto in Pacific Rim) di Guy Ritchie è un brigante cresciuto in un bordello, abituato a farsi giustizia a suo modo ed estremamente individualista, che cerca di evitare il suo destino fino all’ultimo. Il protagonista è contornato dalla magia: quella nera di suo zio Vortigern (un Jude Law in splendida forma), quella buona de La Maga (Àstrid Bergès-Frisbey) mandata direttamente da Merlino per formarlo e aiutarlo, e, last but not least, quella della Spada, che lo porterà a confrontarsi direttamente con l’eredità che suo padre Uther Pendragon (Eric Bana) gli ha lasciato. Un’eredità scomoda e ingombrante per un personaggio ben lontano dall’idea di un giovane acerbo e puro che generalmente associamo a quella dell’Artù prima di Camelot e della Tavola Rotonda. Il personaggio secondo Guy Ritchie non ha alcun interesse per le sorti del proprio paese e ne ha già viste di tutti i colori, per questo quando riesce ad estrarre la spada dalla roccia la sua unica reazione è la negazione della realtà.
Un’Artù inedito e approfondito abbastanza bene, a discapito però di altri temi che potevano essere interessanti, come la contrapposizione tra uomini e maghi, che purtroppo rimane solo abbozzata dopo l’antefatto che dà il via alla storia.
Ritchie non si limita a sperimentare solo con la sceneggiatura; la sua presenza dietro la cinepresa è ben percepibile dallo stile di regia originale e versatile che scandisce un film dal ritmo sempre estremamente sostenuto, capace di tenere alta l’attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine, intrattenendolo non solo con dialoghi ironici e serratissimi ma anche con meravigliose ambientazioni e scene di combattimento ricreate in computer grafica. A coronare la godibilità di questo action movie l’eccezionale colonna sonora di Daniel Pemberton, che riesce a superare in memorabilità perfino quella già particolarissima di Sherlock Holmes.