Bene ma non benissimo.
La DC ci riprova con un altro capitolo dell’Extended Universe, dopo i fallimentari Superman e Batman v Superman, porta sulla scena la nascita dell’eroina che ai suoi tempi ribaltò la visione “maschio-centrica” di supereroe: Wonder Woman.
Interpretato da Gal Gadot (Fast & Furious) e diretto da Patty Jenkins (Monster), Wonder Woman si presenta come uno dei migliori film firmati DC, ma non riesce chiaramente a tirare fuori dal fango in cui si è impantanata la casa di produzione, dopo il terribile flop di Suicide Squad. Dopo aver tentato di emulare i toni drammatici e cupi che erano tipici dei Batman di Nolan, la DC tenta di spostarsi verso un carattere più leggero (a tratti quasi fiabesco) che prende moltissimo dalla Marvel. La fotografia – complice l’ambientazione simile – ricorda moltissimo Captain America – Il primo vendicatore, e i toni della sceneggiatura si fanno decisamente più scanzonati rispetto a Batman v Superman.
Il risultato di questa operazione rimane pericolosamente in bilico tra un film d’azione piacevole e ben interpretato ed una serie di grossi inciampi sia a livello di sceneggiatura che di effetti visivi.
Stupisce la performance di Gal Gadot, che risulta estremamente convincente e per niente anacronistica nella minuscola tutina della protagonista. La bellissima attrice e modella israeliana si destreggia abilmente fra scene di combattimento e momenti più introspettivi, incantando il pubblico maschile e riuscendo allo stesso tempo a non indispettire troppo quello femminile, mostrando efficacemente l’interiorità di un personaggio tanto affascinante quanto umile.
Ciò nonostante rimangono diversi dubbi riguardo al taglio che è stato dato all’eroina. Il mito di Wonder Woman fu creato nel 1941 da Marston, un teorico del femminismo, per dare un simbolo e un modello di forza e coraggio alle donne.
Nel film della Jenkins, Wonder Woman, alias Diana Prince, è cresciuta a Themyshira, l’isola delle amazzoni, addestrata fin da bambina per essere una guerriera in totale isolamento dal mondo degli umani. Le origini e la formazione del personaggio fanno in modo che esso sia strutturato su un’ambivalenza che lo rende unico: un potere grande quanto lo è la sua ingenuità e curiosità verso tutto ciò che è umano. Immensamente forte e immensamente fragile quindi, totalmente estraneo a tutta quella gamma di grigi di cui è composta la psiche umana, aspetto inconcepibile per un’eroina old style che vede tutto o bianco o nero. Questa ambivalenza le dà profondità e la rende interessante, ma non viene sufficientemente sviluppata, e in alcune scene il risultato è quello di farla apparire troppo ingenua, riproponendo il classico cliché della bella svampita, che con gli alti intenti ci entra molto poco.
La via della superficialità viene percorsa anche nella scelta della motivazione che porta alla presa di coscienza dell’eroina (e che coincide con la risoluzione stessa del plot): banale e zoppicante.
Andamento altalenante anche per quanto riguarda gli effetti visivi. Le ambientazioni sono ben realizzate, notevole il contrasto tra gli splendidi e luminosi panorami di Themyshira (presi in prestito dalla nostra bella Matera) e le tinte cupe del mondo degli uomini, metafora del passaggio dalla vita della giovinezza fra gli affetti familiari a quella dell’età adulta. Il budget della computer grafica probabilmente è stato speso tutto per la seconda parte del film poiché nella prima metà anche i più semplici effetti lasciano alquanto a desiderare.
Punti dolenti e punti di forza quindi per un film che non annoia ma non riesce nemmeno a divertire troppo, che sarebbe potuto durare una buona mezzora in meno e che non lascia con l’amaro in bocca rimanendo però ben lontano dal memorabile. Quindi meglio DC, ma c’è ancora molto lavoro da fare.