Dal 7 luglio è disponibile su Netflix la serie animata Casltevania, prodotta da Adi Shankar, scritta da Warren Ellis e diretta da Sam Deats, ispirata alla storica collana di videogames di Konami che dagli anni ottanta ha intrattenuto i giocatori con le avventure dei Belmot, stirpe di cacciatori di vampiri da secoli in lotta contro il Conte Dracula. Più precisamente la narrazione prende le mosse da Simphony of the Night e da Castlevania III: Dracula’s Course, entrambi prequel del primo capitolo della saga, e si incentra sulle gesta dell’antenato di Simon Belmot, Trevor, ponendosi essa stessa come antefatto alla vera e propria caccia al Conte, che vedremo nella già annunciata seconda stagione.
Infatti l’atto iniziale della trama si consuma nella Valacchia nel XV secolo, quando sboccia l’amore tra Dracula e la giovane Lisa, la cui uccisione sul rogo scatena l’ira vendicativa del Conte contro l’umanità, ingannata dall’oscurantismo della Chiesa, che cerca di volgere il terrore a proprio vantaggio per distruggere l’antico ordine degli Oratori, mistici sapienti votati alla salvezza degli innocenti.
Per la durata, poco più di un’ora e mezza, la tendenziale unità di tempo, luogo e azione (escluso il prologo), il ritmo degli eventi e lo sviluppo della trama, l’adattamento presenta una struttura filmica più che seriale, accentuata dalla continuità ininterrotta tra la fine di un episodio e l’inizio del successivo, in una sorta di “unico piano sequenza”, senza quasi mai abbandonare il punto di vista dell’eroe.
Ciononostante i personaggi riescono comunque ad emergere, (grazie ai dialoghi verbosi ma non privi di spunti di riflessione), risultando però molto tipici, presentati nei loro aspetti superficiali e immediati, senza che ne vengano analizzati i lati più intimi. Questo aspetto è in parte bilanciato dalla performance del cast, tra cui spiccano Richard Armitage, Graham McTavish, Tony Amendola, James Callis e Matt Frewer, le cui timbriche profonde e potenti si adattano perfettamente tanto ai ruoli quanto al tetro sonoro, scandito dal rombo atavico di antiche maledizioni, grida disperate, vetri infranti, vampe di fuoco e i rombi sinistri di pavimenti che si sbriciolano. A questo proposito bisogna tuttavia segnalare la quasi assente colonna sonora, che sarebbe stata d’aiuto nel dotare la resa scenica di atmosfere più intense, orrorifiche ed epiche.
La scenografia risulta più convincente nelle rappresentazioni panoramiche delle città, delle cattedrali, nel volto di Dracula che riempie il cielo nelle varie forme in cui si manifesta, tutto disposto in un’ambientazione gotica e apocalittica, comunque non paragonabile alla cura con cui sono realizzati anime del calibro di Berserk e Evangelion, né si comprende la ragione per la quale la visione dello show sia vietata ai minori di quattordici anni: nonostante le promesse di Adi Shankar e la suggestività del fondale in cui scheletri di corpi impalati si stagliano contro un arido tramonto rosso, le mutilazioni non aggiungono niente di impressionante alle atrocità cui il pubblico è ormai abituato. Del videogame invece, resta parte dell’impianto che ha posto Dracula come il punto d’arrivo da inseguire superando i livelli di gioco, la scalata degli ingranaggi dei sotterranei, i rimandi alla mitologia, la mitica frusta Vampire Killer.
Questo primo capitolo di Castlevania, oltre a porre le basi narrative del racconto, tratta per lo più la formazione del protagonista, che da antieroe disinteressato si trasforma nel guerriero che è nato per essere. Dracula per ora resta sullo sfondo e in questi quattro episodi la figura mitica del Conte si pone più come un pretesto per affrontare il problema etico, esplicato dal pensiero del villain quanto da quello di Trevor, del ruolo colpevole della folla che non si oppone alle assurdità del potere, e se tale inerzia la renda degna di essere salvata o meritevole di distruzione.
Quel che resta è la sensazione di aver dato appena un assaggio all’opera, senza essere entrati nel vivo di vicende e personaggi, come accade nelle serie tv quanto negli anime che hanno fatto la storia, narrativamente complessi e attenti allo scandaglio psicologico dei protagonisti. La povertà della scrittura, composta di un unico filone narrativo principale su cui non si innesta alcuna sotto-trama, non permette di empatizzare e rende inconsistente ogni carica emotiva e drammatica.
La fretta con cui si consuma la visione e la mancanza di profondità inducono a pensare a questa prima stagione come a un lungo pilot, una presentazione per tastare il terreno, spianato per una successiva e si spera più corposa parte dell’adattamento, a cui auspicabilmente la figura di Alucard, (protagonista della sequenza più riuscita di tutti gli episodi), potrà conferire parte dell’assente complessità. Per ora, complice anche il fatto che quella raccontata è una storia nota che gode di un pubblico affezionato, Castlevania riesce comunque a trascinare chi guarda nelle dinamiche della trama. Insomma, quella che resta è un’insoddisfazione che però si accompagna al desiderio di vedere il resto.