Diretto a quattro mani dai registi Gerardo Olivares e Otmar Penker, Abel – Il figlio del vento ha tutte le caratteristiche proprie di una fiaba classica per contenuti, valori e principi educativi, risultando godibile e genuina. Destinata ad un pubblico di giovanissimi, la pellicola risulta comunque interessante per i più grandi per l’innovativo lavoro fatto sulle aquile e le riprese in soggettiva con le camere sulle ali dei rapaci.
Tra favola e realtà
Abel è un aquilotto giovane, che viene cacciato dal nido quando è ancora piccolo da Caino, il fratello maggiore. Il suo destino s’incrocia con quello di Lukas, un ragazzino che porta sulle spalle il peso della morte della madre e che ha un rapporto conflittuale col padre. Accomunati dall’aver perso entrambi un genitore, i due protagonisti si aiuteranno a vicenda nel fare uno passo fondamentale per il proprio cammino di crescita. Se il piccolo Lukas dovrà trovare la forza di riconciliarsi con suo padre, cercando di ricostruire un rapporto che sembra ormai perso, Abel sarà chiamato a trovare il coraggio per spiccare il primo volo ed affrontare il fratello.
I primi venti minuti del film hanno un tono documentaristico, volendo riprendere da vicino con immagini reali la nascita ed i primi mesi nel proprio nido dell’aquila protagonista del racconto. Le immagini sono accompagnate e descritte da una voce narrante che aiuta la comprensione di ciò che accade ai più piccoli. Dal momento in cui i due protagonisti si incontrano, da documentario si passa al film vero e proprio, senza voce fuori campo.
Specifiche tecniche
Grazie ad un meticoloso lavoro sulle aquile non indifferente, il film può godere di riprese soggettive dei rapaci veramente mozzafiato. Il regista fa inoltre uso ricorrente di riprese aeree sia per inquadrare questi maestosi animali in volo sia per inquadrare gli attori nel fantastico contesto della più grande valle protetta dell’Austria, il Parco Nazionale degli Alti Tauri.
L’amicizia tra Lukas e Abel è fatta di sguardi, movimenti ed emozioni, riuscendo a convincere lo spettatore e a farlo entrare in empatia coi personaggi. Il giovanissimo protagonista, Manuel Camacho, ha lavorato duramente coi falconieri per poter muoversi nella maniera più corretta accanto alle aquile.
Ciò che convince meno sono alcune scelte di sceneggiatura, traballante in più di un punto preciso. In particolar modo, la figura del padre del protagonista risulta a tratti ambigua e facilmente fraintendibile.
Nel film trova spazio anche un ritrovato Jean Renò, nelle vesti del guardiaboschi della valle in cui si svolge la vicenda, a cui i doppiatori italiani hanno finalmente tolto quell’insopportabile accento francese italianizzato che ha caratterizzato tutti i suoi personaggi precedenti.