Il 3 novembre ha debuttato sugli schermi un nuovo prodotto di casa Netflix, Alias Grace che nasce dall’opera della scrittrice Margaret Atwood, come anche la fortunata serie The Handmaid’s Tale, ma a differenza di quest’ultima Alias Grace è tratto da una storia vera. La regista è la canadese Mary Harron, che si è addentrata nella società ottocentesca, attraverso gli occhi di Grace, così lontana da noi ma a tratti molto attuale.
Grace Marks è la protagonista di un adattamento in sei episodi ispirato alla storia vera di una giovane ragazza di origini irlandesi, emigrata in Canada per trovare lavoro insieme alla sua famiglia. Grace divenne famosa quando, nel 1843, venne condannata all’ergastolo per essere stata coinvolta nell’omicidio di Thomas Kinnear, il suo datore di lavoro, e della sua governante Nancy Montgomery, compiuto, secondo l’accusa, insieme allo stalliere James McDermott.
Il primo dei sei episodi prende le mosse da una Grace già divenuta un’attrazione locale, suscitando l’interesse di vari dottori che hanno cercato di verificare, attraverso primitivi metodi, la sua reale colpevolezza. Le cose cambiano con l’arrivo del Dottor Simon Jordan, un medico specializzato in psichiatria interessato al suo caso, che instaura con la condannata un rapporto di fiducia e stima reciproca. E’ con lui che la ragazza inizia il suo viaggio tra i ricordi precedenti all’efferato omicidio. L’intero racconto è guidato dalla voce fluida e morbida della protagonista che trascina lo spettatore nella sua mente e nel suo passato fino a che questo arriva a congiungersi con il presente.
Le sei puntate scorrono senza intoppi sebbene sia stato lasciato molto spazio ai monologhi o alle confessioni a tratti forse troppo lunghe. Ma considerando che il filone è proprio quello dell’intervista, tutto ciò rende l’esperienza visiva ancora più intensa e coinvolgente.
D’altronde i monologhi sono l’espressione più intima della protagonista che in maniera cruda e diretta disegna lo spaccato sociale tra uomini e donne. Neanche i diritti più naturali erano concessi al gentil sesso, soprattutto se di bassa condizione sociale, marchiate fin dalla nascita dalla lettera scarlatta di tentatrici e istigatrici delle più recondite fantasie dell’uomo.
Il mistero sulla colpevolezza o meno di Grace, che sembra essere l’elemento portante della storia, in realtà diventa solo una scusa per portare alla luce quella che era condizione della donna al tempo. Che sia stata lei la mano omicida o meno non sembra più interessarci quanto quello che sta succedendo alla donna, ai suoi pensieri e a quello che a una donna era permesso o non le era permesso dire.
Abbiamo assistito ad una storia complessa e ricca di sfumature e di dettagli come è stata anche l’interpretazione di Sarah Gadon nei panni di Grace. Una prova magistrale per l’attrice che sembra aver interpretato due personaggi diversi, quella della dolce e ingenua Grace e quello della diabolica Mary, senza mai mancare di profondità. Gli occhi sono stati il vero strumento attoriale dell’interprete, un semplice cambio di sguardo è riuscito a marcare il cambio di personalità, rendendo il tutto molto credibile ed elegante. A contrastare questa profondità di intenti c’è il distacco professionale del dottor Simon interpretato da Edward Holcroft, che piano piano acquista sempre più spessore in seguito alle sue interazioni con la condannata.
Anna Paquin mette ancora una volta in mostra le sue doti attoriali indiscusse, ma tra le nuove scoperte c’è Rebecca Liddiard nella parte di Mry e Zachary Levi nei panini del carismatico Jeremiah. Per finire Kerr Logan interprete di un convincente James McDermott, un uomo brutale e animalesco mosso solo dai suoi più primitivi istinti.
La particolarità di questa serie è la varietà di genere e di tematiche che vengono affrontate. Le sfumature thriller permeano uno scenario in costume dell’800, i sentimenti ingenui e puri e le relazioni sociali tipici dei romanzi di Jane Austen, e le tematiche femministe della Atwood esplodono ad ogni monologo di Grace. Senza tralasciare il fascino della storia vera che rende la storia palpabile e godibile.