Altra nave spaziale, altro equipaggio, altra missione, stesso nemico. Ridley Scott ci immerge nuovamente in un’atmosfera ad alta tensione nel sequel di Prometheus, prequel della saga cult di Alien.
Questa volta siamo a bordo della Covenant, una nave in missione di colonizzazione di un pianeta che ospiti un nuovo inizio per il genere umano. A bordo vi è quindi un equipaggio formato interamente da coppie, peculiarità che caratterizzerà tutto l’andamento del film e ogni singola scelta di sceneggiatura (soprattutto le più avventate).
Per alcuni elementi, questo capitolo del franchise su cui lo stesso Ridley Scott vorrebbe girare ben sei prequel totali, si riavvicina al primo Alien, soprattutto rispetto al chiacchieratissimo Prometheus che ha diviso critica e pubblico. L’importanza dell’ambientazione all’interno della nave spaziale è sicuramente uno di questi, come le atmosfere cupe che caratterizzano tutte le scene, in contrasto alla luminosità che preponderava in Prometheus.
La centralità della figura femminile è ormai un tratto distintivo di ogni capitolo della saga, la protagonista questa volta è Daniels, interpretata da Katherine Waterston, che oltre all’incredibile spirito di sopravvivenza che contraddistingue tutte le eroine di Alien, sembra essere anche l’unica tra i personaggi dotata di pensiero critico.
Altro punto in comune con il primo Alien è la presenza a bordo dell’intelligenza artificiale Muther, piacevole riferimento ai grandi classici della fantascienza.
Grazie a questi richiami al primo capitolo della saga, ma non solo, Alien: Covenant funge da perfetto anello di congiunzione fra questo e Prometheus. Ridley Scott sceglie di portare avanti quest’operazione passando soprattutto dalla figura di Fassbender, interprete che sembrerebbe aver preso il posto di Sigourney Weaver, come volto della saga. Purtroppo però, in questo episodio, la presenza di Fassbender risulta ingombrante e abusata, per quanto cruciale sia il suo personaggio ai fini della trama alcune scene appaiono esageratamente forzate e di una lunghezza ingiustificata. L’attore però dà il meglio come sempre, anche se non riesce a sopperire con le sue doti attoriali all’insensatezza di alcune scelte di sceneggiatura.
Una piacevole novità per tutti gli amanti del genere è la deriva splatter. Si è ormai persa del tutto la raffinatezza del primo capitolo, in cui la tensione era scandita dal sonoro e dal gioco di luci e ombre, mentre agli effetti speciali dell’Alien stesso era lasciato veramente poco. In questa pellicola c’è sangue a volontà; se in tutti gli altri film della saga lo splatter era limitato a una o due scene, in Alien Covenant, sin dal momento in cui si entra nel vivo dell’azione, ce n’è in abbondanza. Probabilmente un espediente a cui la produzione ha deciso di ricorrere per sopperire alla mancanza di mistero che aveva invece caratterizzato entrambi i capitoli in mezzo ai quali Alien: Covenant si colloca. Infatti, una delle cose che rendono maggiormente godibile il film, è il fatto che riesce a dare una risposta abbastanza credibile a ogni interrogativo sollevato e lasciato insoluto in Prometheus.
Nonostante però il film risulti estremamente piacevole non mancano i punti dolenti. Stavolta non si tratta di buchi o incongruenze nella trama (di cui era stato accusato Prometheus) ma di vere e proprie scelte senza giustificazione logica. I personaggi agiscono spesso come se facessero parte di un B-movie horror e non di un capitolo di una delle saghe più famose del genere. Oltre a questo e alla presenza ingombrante di Fassbender, anche il colpo di scena finale è telefonatissimo tanto da risultare addirittura scontato.
Persino l’approfondimento dei personaggi risulta mal riuscito. Ci sono degli interessanti accenni, come la dualità del capitano Oram (Billy Crudup), uomo sia di scienza che di fede, o la ricerca di potere e identità da parte del “sintetico” Fassbender attraverso i concetti di creazione e divinità, ma purtroppo restano temi toccati alla larga e solo in superficie, tanto che viene da chiedersi se non fosse stato meglio lasciar perdere lo sviluppo di protagonisti che sembrano doversi distinguere a tutti i costi e concentrarsi sull’azione e la tensione, arti nelle quali Ridley Scott si è sempre dimostrato un vero maestro.