Concetti forti ma semplici sono il cardine attorno a cui ruotano tutti gli elementi di American Assassin: la vendetta, il patriottismo, l’amore, il sangue.
Tutti elementi ovviamente conditi con un bel po’ di ignoranza, caratteristica stilistica di questo genere di pellicole. La struttura narrativa si basa su una sinossi abbastanza semplice e, se vogliamo, un po’ banale: Mitch Rapp (Dylan O’Brien) è un giovane innamorato che si vede assassinare la fidanzata sotto gli occhi durante un attentato terroristico a Ibiza. La storia si apre proprio questa scena che risulta abbastanza d’impatto, con una sovrabbondanza di proiettili, sangue e cadaveri in ogni dove.
Ovviamente l’accaduto segna nel profondo Mitch che da quel momento vota la vita completamente alla vendetta, intenzionato a rintracciare la cellula terroristica responsabile dell’attacco in cui ha perso la vita il suo amore ed eliminarla. Da lì all’essere scoperto dalla CIA e reclutato per entrare in un corpo speciale e super segreto di soldati addestrati per essere dei veri e propri assassini, a quanto pare, il passo è breve.
Durante il duro addestramento del protagonista viene introdotto un altro tema cardine del film, il rapporto mentore/allievo che si crea fra Rapp e Stan Hurley (Michael Keaton), l’uomo che ha il compito di addestrare le nuove reclute ed è a tutti gli effetti a capo della squadra speciale. Keaton interpreta in modo convincente la parte del burbero soldato, il cui intento è apparentemente quello di creare macchine da guerra senza sentimenti a forza di combattimenti corpo a corpo.
Dylan O’Brien invece ricopre nuovamente il ruolo di protagonista in un lungometraggio d’azione, dopo il ruolo nella saga teen-fantasy The Maze Runner. Lo troviamo cresciuto e decisamente pompato rispetto alle precedenti performance ma l’interpretazione del giovane tormentato non convince pienamente. O’Brien sfodera un po’ troppo spesso un’espressione da cerbiatto bullizzato che indubbiamente risulterà adorabile agli occhi del pubblico femminile ma che non si addice molto a un personaggio che dovrebbe essere dominato da rabbia cieca.
Ma veniamo alla caratteristica predominante in questa tipologia di pellicole, il patriottismo. Parliamo di grossi soldati americani, addestrati a uccidere i cattivi: terroristi islamici con folte barbe. Ovviamente tutto il film gronda di sentimenti nazionalistici e intenti nobili, come liberare il mondo dalla guerra e dal male.
Apprezzabile però lo sforzo di mescolare le carte in tavola e dare spessore al tutto aggiungendo un elemento di disturbo a questa logica lineare e inattaccabile, mettendo in gioco il personaggio di Ghost (Taylor Kitsch) la cui provenienza e background non sono quelli che ci si aspetta dal cliché del terrorista.
Stupiscono le ambientazioni che sono state evidentemente scelte con molta cura: fanno da sfondo a scene degne dei migliori sparatutto gli splendidi panorami di Tripoli, Ibiza, Istanbul e Roma, in cui è ambientata tutta la parte finale del film, con spettacolari inseguimenti per le strade del centro.
Chiude col botto (nel vero senso della parola) un film che punta tutto su temi molto cari all’idealismo statunitense e che riesce a mantenersi in equilibrio, seppur traballante a momenti, fra una sceneggiatura a tratti molto poco credibile (e con dei grossi buchi) e un ritmo comunque incalzante, che rende l’insieme abbastanza godibile.