Doveva succedere. I cult esistono e si reiterano grazie al successo della loro esemplarità. Per tale ragione sarebbe inutile attanagliarsi sulla domanda che ha investito molti di noi, lasciandoci attoniti davanti al trailer della trasposizione cinematografica di un telefilm che, nonostante ogni sforzo, ha segnato suo malgrado almeno una generazione: un flebile, puerile perché.
Perché questo quesito, al quale potrebbe rispondere un qualsiasi produttore, travestito da blogger, mascherato da talent scout, dichiaratosi marchese di Carabas, viene travolto nell’immediato da un’altra domanda emersa dalla curiosità del piccolo e in qualche modo ingenuo guardone che ci abita a scrocco. Ovvero, come.
Il regista Seth Gordon risponde lesto, trascinandoci nelle sale per la visione del film basato sulla fortunata serie televisiva degli anni ’90: Baywatch. Lo fa schierando un Dwayne Johnson che reinterpreta in chiave più rude e spigliata, il sempre testardo e incorruttibile Mitch Buchannon. Decide quindi di far scortare il caposquadra da Zac Efron (Matt Brody), il Ken palestrato che offre i migliori propositi per siparietti meta-cinematografici e battute da spiaggia. Battute che impregnano il film di una sfacciata volgarità, con riferimenti alla commedia americana più demenziale, discostandosi certo dalla serie originale. Gordon si aggrappa invece a quest’ultima per ripescare cameo, i quali, siano ininfluenti o impertinenti deus ex machina, svelano un’autoironia ben consolidata. Un’autoironia che sembra farsi beffa di coloro che inneggiano ad una boriosa autorialità.
Ai critici pedanti dagli sguardi impolverati Gordon risponde come un adolescente ribelle: “This is Baywatch!”
Interpretando in maniera astuta la frivolezza di una Hollywood commerciale ed altera, questa Baia non sembra avere intenzione di abbandonare la cresta dell’onda, riconfermandosi mito ripescato in grado di prendersi gioco di icone e star system. Così si deride per reinventarsi, palesando il kitsch senza timore di giudizio, che svetta sfrontato vestendosi di una deprecabile colonna sonora, di un’ignavia registica e di battute di dubbio gusto che farebbero impallidire il più ostinato Alvaro Vitali.
Ed è così che replica il regista, con un film tutto azione e citazione, cercando di sopperire all’appiattimento della caratterizzazione, esaltando in maniera caricaturale i personaggi ed ironizzando più volte nei dialoghi, sulla sua trama banale. Riproponendo improbabili scelte registiche che hanno fatto la storia del telefilm. Lasciando intaccato il soggetto di un cult trasmutato in stendardo di consapevole clown fiesta.
Seth Gordon confeziona un film che non si prende sul serio e francamente ci fa simpatia. Ma questo ci basta? Se la risposta è sì, fate attenzione.
Ogni cult resta tale grazie al lavoro dei propri schiavi: i fan.