“Negli ultimi due anni mio figlio ha provato ogni tipo di droga e sto per perderlo. Come posso aiutarlo?”. Questa è la citazione con la quale si apre Beautiful Boy, uno dei film più attesi e popolari alla Festa del Cinema di Roma, diretto con talento dal regista belga Felix Van Groeningen, al suo esordio a Hollywood dopo la candidatura a miglior film straniero del 2016 con Belgica. La storia di Beautiful Boy, come il primo dialogo del film fa intuire, racconta le vicissitudini drammatiche di una famiglia, ma in particolare di un padre e un figlio legati da un rapporto particolare, rapporto che verrà irrimediabilmente dilaniato dai problemi di droga del giovane, passato in brevissimo tempo da studente, atleta modello e aspirante scrittore, a magrissimo “junkie”, divorato dagli stupefacenti.
È una storia vera, inoltre, quella di Beautiful Boy, ispirata al contenuto dei due libri scritti dalla coppia padre e figlio, David e Nic Sheff, due volumi autobiografici che hanno raccontato con candida introspezione la rispettiva disavventura ambientata a inizio millennio in California e che ha toccato i cuori già di milioni di persone prima di questo esordio sul grande schermo.
Solido, ma prevedibile
Storie di droga ne abbiamo “vissute” a milioni grazie al cinema, ma il “twist” interessante di Beautiful Boy è senza dubbio la sua introspezione nelle vite di un padre e un figlio come tanti, una prospettiva molto personale che ci ha ricordato come stile il in ogni caso indimenticabile Boyhood. Come per molti giovani dotati, per Nic (Timothée Chalamet) la vita a volte non è abbastanza, gli stimoli della routine non riescono a soddisfarlo e si sente quasi schiacciato dalla sua vita agiata e dall’amore e cura della sua famiglia. Famiglia che è composta per la maggior parte dalla figura del padre (Steve Carell), una roccia, un faro da sempre per Nic, specialmente dopo la separazione dalla madre. Nel film seguiamo quindi Nic nel suo lento scivolare lontano da David, trascinato dalla sua tossicodipendenza in una strada senza uscita, con la figura paterna incredula ma risoluta nel cercare una soluzione a questa situazione che sta devastando la sua vita.
Beautiful Boy pone correttamente le fondamenta e il tono con la sua colonna sonora e il suo taglio registico per questa storia, ma non riesce sfortunatamente a portare lo spettatore con sé per le – lunghe – due ore in compagnia degli Sheff. In Beautiful Boy i momenti drammatici e le scene potenzialmente memorabili ci sono, tuttavia questo loop di cadute e ricadute si ripete troppe volte e in maniera abbastanza pedissequa per lasciare il segno; anzi, le due ore a un certo punto risultano anche troppe. Difficile infatti trovare un momento clou, una scena che ci porteremo a casa: l’encefalogramma del film di Van Groeningen è piatto per la maggior parte del tempo e vive senza i sussulti che ci saremmo aspettati.
L’asso, anzi gli assi, nella manica
L’elemento che costituisce la spina dorsale e il punto di forza di Beautiful Boy è invece il suo cast, in particolare nelle prestazioni attoriali di Steve Carell e del promettentissimo – alla conferma dopo il suo inatteso exploit in Chiamami col tuo Nome – Timothée Chalamet, veramente inappuntabili nei due ruoli principali. Se la pellicola forse manca di mordente e non riesce a trasmettere in maniera efficace le devastanti emozioni vissute dai protagonisti, non è certo demerito della coppia in copertina: Chalamet continua a impressionare e sembra essere perfetto per questo ruolo di adolescente tormentato, mentre Carell, nella sua encomiabile battaglia per salvare il proprio adorato figlio, rappresenta al meglio la figura di un padre risoluto ma capace di amare a fondo come David Sheff.
Ed è proprio questa coppia, unita a una apprezzabilissima fotografia, a “salvare” Beautiful Boy, un film che forse si crede più profondo di quanto non sia in verità, raccontando una storia vera, magari per forza di cose non certo originale o nuova, dimostrando probabilmente sia il talento sia la mancanza di esperienza del suo regista, dal quale ci aspettiamo certo grandi cose in futuro ma che per ora ci ha soddisfatto fino a un certo punto.