Il 2019 inizia con un sodalizio cinematografico col botto: Robert Zemeckis dirige Steve Carell in Benvenuti a Marwen. Racconta la toccante storia vera di Mark Hogancamp, artista sopravvissuto per miracolo a un tremendo pestaggio, che cerca in tutti i modi di sconfiggere la solitudine e un fortissimo disturbo post traumatico da stress. Le lesioni cerebrali gli hanno provocato una forte amnesia: non ricorda nulla della sua vita prima della violenza subita e i tremori alle mani gli impediscono di disegnare come prima. Ma Mark trova un modo per dare sfogo alla sua vena artistica e cercare di ricordare la sua vita passata grazie a un gruppo di bambole. Si tratta degli abitanti del villaggio belga di Marwen: un luogo che Mark ha costruito nel suo giardino e nel quale fa vivere loro avventure fantastiche sullo sfondo della seconda guerra mondiale immortalandone i momenti salienti con una macchina fotografica.
Chi è senza peccato scagli la prima Barbie
Viene dato molto spazio alle avventure di Marwen e dei suoi abitanti, strettamente collegate alla vita reale del suo creatore. L’unico uomo del villaggio è il capitano Hogie, l’alter ego di Mark, un pilota americano sopravvissuto a un incidente aereo e accolto in un Belgio ancora vessato dalla presenza nazista. Gli angeli di Hogie, continuamente preso di mira da un gruppo di nazisti apparentemente immortali, sono le guerrigliere di Marwen, tutte ispirate e modellate sulle donne che hanno “salvato” Mark nella vita reale. Da Roberta (Merritt Wever) che lavora nell’hobby shop dove passa i pomeriggi, alla sua infermiera per la riabilitazione, Julie (Janelle Monàe), alla cuoca del pub dove lavora, Caralala (Eiza Gonzales), alla sua badante russa part-time, Anna (Gwendoline Christie), tutte le “donne della vita” di Mark hanno un alter ego bambola che protegge il suo a Marwen.
I nazisti invece hanno le fattezze dei cinque uomini che hanno picchiato Mark a sangue anni prima e perdono ogni battaglia, ma resuscitano ogni volta: la vita di Hogie/Mark è una fuga continua dall’affrontare di petto il suo trauma, che si nasconde nelle avventure di Marwen rifiutando di dare una seconda chance alla realtà. Rifiuta di presenziare alla mostra dedicata al suo lavoro di fotografo di bambole e alla dichiarazione della sentenza definitiva dei suoi aggressori.
La vita reale di Mark cambia con l’arrivo di Nicol (Leslie Mann), la sua nuova dirimpettaia. Gentile e disponibile, come Mark ha sofferto moltissimo in passato e lui se ne innamora perdutamente, inserendola a Marwen come fidanzata di Hogie. Ciò scatenerà l’ira del personaggio più misterioso di Marwen, la strega Deja Thoris (Diane Kruger), ossessionata da Hogie. Mark scoprirà insieme a Hogie il vero ruolo dei personaggi all’interno della storia di Marwen e della sua vita.
Quando un uomo con i tacchi incontra un uomo con una svastica tatuata, l’uomo con i tacchi è un uomo morto (?)
Benvenuti a Marwen è un film che gioca molto del suo lavoro di scrittura sull’interazione tra due piani narrativi. Emozionare lo spettatore è doppiamente difficili nel caso di storie come questa: è infatti il difetto principale del film. Colpisce per la novità della storia, per le animazioni e per la bravura del cast, ma da un punto di vista narrativo non è in grado di emozionare come altri lavori di Zemeckis. La storia nella realtà diventa presto prevedibile, quella a Marwen troppo sopra le righe per commuovere come potrebbe. Il risultato è un film dalla visione profonda, che funziona, ma non arriva in alto quanto prometterebbe.
La storia dell’aggressione subita da Mark, “colpevole” di aver ammesso da ubriaco davanti a un gruppo di neonazisti di amare le scarpe col tacco, non è importante quanto il modo in cui lui affronterà il resto della sua vita. Un messaggio importante, trasmesso in modo lucido e consapevole, tanto da perdonare la mancanza di conflitti sostanziosi nella parte “reale” della storia.
Non è un mistero che Zemeckis sappia esporre temi complessi in modo che siano comprensibili a tutti. La violenza dei maltrattamenti subiti dal protagonista passa in secondo piano rispetto alla loro elaborazione, al tormento interiore di un uomo dolce ma diffidente.
Yes we Ken
Ancora meno misteriosa di quella di Zemeckis è la bravura di Steve Carell (già confermata quest’anno in Beautiful Boy). La maestria con cui padroneggia ogni ruolo consiste nel fatto di trovare la debolezza in tutti i suoi personaggi e metterla in scena. Non si tratta semplicemente di riuscire a passare dal registro comico a quello tragico, quanto di trovarli entrambi all’interno di uno stesso personaggio.
Non è un caso che il personaggio di Mark Hogancamp ricordi per molti versi quello di Michael Scott della serie The Office, uno dei più famosi e memorabili di Carell: entrambi sono fragili e stralunati, dipendono dalle persone che hanno accanto e le idealizzano all’inverosimile. Nel caso di Michael queste caratteristiche sono quasi sempre declinate in maniera comica, nel caso di Mark in maniera drammatica. Le volte in cui Michael riesce a far ridere non si contano, ma quelle in cui è in grado di emozionare sono altrettanto potenti e memorabili. Non è esatto quindi parlare di due diversi approcci, quanto di un unico approccio attoriale che permette una visione complessa e profonda di tutti i personaggi.
Benvenuti a Marwen racconta che colpevolizzarsi quando si è vittime significa legittimare gli aguzzini di tutto il mondo, e Zemeckis riesce a raccontarlo senza patetismi o drammi eccessivi. Inoltre decide di far sparare solo i pupazzi, scelta interessante e coraggiosa in un mondo in cui ogni scusa è buona per mostrare e fare violenza. Con l’aiuto di un grande interprete racconta una storia delicata e fuori dagli schemi, curiosa ma non sensazionalistica, a misura di tutti, perfino di Barbie.