Dopo un anno sabbatico causa pandemia, il Marvel Cinematic Universe torna prepotentemente al cinema e su Disney+ con ben 10 progetti, di cui quattro lungometraggi, nel solo 2021. Dopo le serie WandaVision e The Falcon and the Winter Soldier ecco Black Widow, un film che arriva quasi fuori tempo massimo visto il destino del personaggio e che ha il sapore di un atto dovuto da parte dei Marvel Studios nei confronti di un personaggio storico e tra i più amati del suo Universo Cinematografico. Ma ne è valsa la pena aspettare tutto questo tempo?
Dalla Russia con furore
A oltre dieci anni dalla sua prima apparizione in Iron Man 2 (2010) finalmente la Vedova Nera ha il suo film standalone come tutti gli Avengers “originali” (ora manca solo Occhio di Falco, la cui serie è in arrivo a novembre). Come i Guardiani della Galassia, Black Widow è abbastanza scollegato dalla trama principale e si può guardare senza dover recuperare altri dieci film Marvel precedenti (evento sempre più raro).
Il film, che temporalmente si incastra tra la fine di Captain America: Civil War e l’inizio di Avengers: Endgame, racconta le origini di Natasha Romanoff, ripercorrendo i momenti che hanno portato la giovane ad aderire al programma sovietico Black Widow degli anni ’80, volto a creare delle super agenti assassine.
Quindi, per sua natura, questo film non è la solita “origin story”, bensì un focus riguardo una parte ancora non raccontata del passato di Nat.
La Guerra Fredda del nostro tempo: Marvel vs. DC
Nella grande partita a scacchi che vede la Casa delle Idee opposta alla DC, la scelta di una regista donna a dirigere una protagonista femminile era praticamente obbligata dopo che la DC si è giocata la carta Patty Jenkins per Wonder Woman. E quindi ecco a voi Cate Shortland, autrice di diversi film indipendenti australiani e ancora sconosciuta a Hollywood: il profilo perfetto per la Marvel, una multinazionale che non ha più bisogno di autori (almeno da quando si è liberata di Joss Whedon e, fortunatamente senza riuscirci, James Gunn).
In questo “sistema” di fare film in cui è uno studio cinematografico a dettar legge, anche una regista australiana di film indipendenti può funzionare in un mix tutto azione-gag-azione che tutto sembra, tranne un film indipendente australiano. La Shortland gira un film tutto sommato solido e diviso sostanzialmente in due parti.
La prima, quella che funziona maggiormente, è incentrata sul tema più caro al cinema stelle e strisce (la famiglia) ed è inizialmente ambientata nei nuovi anni ’80 (i ’90). Le dinamiche familiari della famiglia-non-famiglia russa di Nat, composta da mamma Melina (Rachel Weisz), papà Alexei (David Harbour) e la sorellina Yelena, funzionano bene e sono molto divertenti. La piccola Natasha è interpretata da Ever Anderson, figlia di Paul W. S. Anderson e soprattutto di Milla Jovovich di cui è una perfetta copia genetica.
21 years later
La prima parte funziona bene anche dopo il salto temporale di 21 anni, quando dal 1995 si passa al 2016. Natasha ritrova la sua “sorellina”, la tostissima Yelena Belova interpretata da Florence Pugh, che tra la gag delle “pose” di Nat e una dose clamorosa di “cazzimma” ci regala un personaggio in grado di bucare lo schermo. Kevin Feige in un angolino starà sicuramente sfregandosi le mani. Quando le due sorelle decidono di far evadere il loro padre adottivo, rinchiuso in una prigione in Siberia, assistiamo poi a delle sequenze veramente spettacolari: elicotteri, esplosioni e carcerati russi tatuati. Possibile chiedere di meglio?
Tutto procede a gonfie vele fino a quando la famigliola si riunisce. Da quel momento si apre il secondo atto e tutto sprofonda nella noia e nel disinteresse più totale. Soprattutto la parte relativa all’educazione siberiana delle due sorelle che le ha trasformate in super assassine, quella che dovrebbe sensibilizzare maggiormente, non riesce nel suo intento. A parte il monologo di Yelena, in cui spiega al padre adottivo cosa è accaduto al suo utero con freddo e cinico distacco. Se vi sembra tutto regolare, ricordatevi che siamo sempre in un film Disney.
Arriviamo quindi ai due punti dolenti del film: gli antagonisti. Il primo è Dreykov (Ray Winstone), quello che dovrebbe essere “la mente” con un monologo spiega tutto il piano alla protagonista in difficoltà nel più classico dei cliché. Il secondo è Taskmaster (Olga Kurylenko), l’assassino con il cappuccio e la faccia da teschio, quello in grado di mimare le mosse di tutti i suoi avversari, alias uno dei cattivi più tosti e cazzuti di tutti i fumetti Marvel, qui ridotto a semplice comparsa.
Passaggio di consegne
E quindi, tornando alla domanda iniziale, è valsa la pena aspettare Black Widow? L’occasione è sprecata, specie perché la buonissima prima parte del film probabilmente fa sembrare la seconda peggiore di quanto in realtà sia veramente. Il tema dell’emancipazione femminile, però lo stravince alla grande contro la Distinta Concorrenza, che in ben due film su Wonder Woman non è mai riuscita a fare centro.
Scarlett Johansson si conferma poi una grandissima attrice (anche se non aveva bisogno certo di ulteriori prove dopo Storia di un Matrimonio), dà l’addio ad un personaggio amatissimo come quello di Vedova Nera e passa il testimone ad un’altra grandissima attrice.