Sbancano i botteghini di tutto il mondo, dividono la critica e, nel bene o nel male, fanno sempre parlare di loro. I cinecomic sono i film più inflazionati degli ultimi 20 anni e, se siete tra coloro che screditano a prescindere questo genere per partito preso o perché davvero credete che sia impossibile realizzare un grande film a partire da un fumetto, fate molta attenzione, perché tra i vostri cult preferiti potrebbe esserci proprio uno di loro.
Old Boy di Park Chan-wook, e A History of Violence di David Cronenberg ad esempio sono tratti rispettivamente da un manga e da una graphic novel, eppure sono due film girati con un estremo stampo autoriale. E che dire di V per Vendetta, Battle Royale, o dello spassosissimo Scott Pilgrim vs. The World?
La maledizione del numero tre
Da sempre la trilogia è un formato che abbonda nel cinema fantasy e di fantascienza: Star Wars, Ritorno al Futuro, Il Signore degli Anelli sono tutti ottimi esempi di capolavori presi non solo singolarmente, ma nel loro insieme. È proprio sulla scia del rinnovato interesse per quei generi che abbiamo, con Superman nel 1978, il primo caso di serializzazione supereroistica. Da allora tanti registi hanno provato a concludere una trilogia perfetta ma, per diversi motivi, non c’è mai stato nulla da fare.
Il primo tentativo quasi riuscito lo troviamo con la saga dell’Uomo Pipistrello lanciata nel 1989 da Tim Burton col bellissimo Batman, a cui fece seguito nel 1992 un film ancora più bello: Batman Returns. Formula vincente non si cambia? Macché. La Warner decise di passare dai toni gotici di Burton a quelli più commerciali di Joel Schumacher, con risultati disastrosi. A quota due si è fermato anche Bryan Singer che, con X-Men e X-Men 2, ha segnato l’anno zero del cinefumetto moderno. Peccato che poi X-Men – Conflitto Finale, diretto da tal Brett Ratner, abbia rovinato tutto.
Anche Guillermo del Toro ha realizzato due film meravigliosi, Hellboy e The Golden Army, ma non ha mai avuto occasione di poter chiudere la trilogia. La remota possibilità che del Toro tornasse sul progetto è stata recentemente cancellata dalla Casa delle Idee che ha programmato un reboot della saga, in modo che anche il diavolone possa entrare a far parte della grande famiglia politicamente corretta della Disney. In fondo ogni generazione deve avere il suo supereroe al cinema, no?
C’è poi un’altra categoria, quella dei registi che la possibilità di chiudere una trilogia perfetta l’hanno avuta, ma hanno fatto cilecca sul più bello. È il caso di Spider-Man, portato su grande schermo in maniera impeccabile da Sam Raimi per i primi due film, salvo perdersi in maniera confusionaria al terzo e conclusivo capitolo della saga.
Vedremo mai una trilogia diretta dallo stesso regista senza passi falsi?
Ma Raimi non è stato l’unico regista di un certo spessore a chiudere una trilogia.
Siamo arrivati all’elefante nel soggiorno. Il nostro Dumbo è la tanto decantata trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan, a cui tanti hanno attribuito il pregio di aver dato per la prima volta profondità e spessore ad un personaggio tratto dai fumetti. Niente di più sbagliato, perché già Burton con Batman Returns nel 1992 ci era ampiamente riuscito. Così come Del Toro e Raimi. Che sia chiaro, Il Cavaliere Oscuro è un filmone, ma se consideriamo Batman Begins ed Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno, siamo ben lontani dall’avere una trilogia impeccabile.
L’eccezione alla regola?
Quando nel 2004 la Marvel ha dato inizio a quella che è diventata a tutti i costi una saga composta da più saghe, che ha portato la singola pellicola ad essere al servizio di un progetto più grande, non ci si poteva proprio aspettare di vedere una serie di tre film diretti da uno stesso regista, di alto livello e con una precisa impronta autoriale. E invece James Gunn, coi suoi Guardiani della Galassia, è ad un passo dal farcela. E no, non solo perché ha ballato in motion capture sulle note di Mr. Blue.
Con Guardiani della Galassia Vol.1 e Vol.2, Gunn ha realizzato due piccoli capolavori di genere, liberi dai soliti vincoli di tutti i film Marvel, in cui il tacito accordo tra spettatore e regista – in cui il primo si impegna a metter da parte la propria ragione accettando come “vero” quanto vede su schermo, pur sapendo in cuor suo che di finzione si tratta – è stato ripagato da due film che vanno davvero oltre ciò che il pubblico generalmente si aspetta dai cinecomic.
Basti pensare al rapporto tra Rocket e Groot, un procione ed un albero in CGI che per tutta la durata del film parlano e interagiscono. Questo già richiederebbe già di per sé un alto tasso di sospensione dell’incredulità e invece aggiungeteci anche che Groot si esprime con solo tre parole: “Io”, “Sono” e “Groot”, sempre rigorosamente in quell’ordine. Lo spettatore capisce Groot solo grazie alle risposte di Rocket, che è l’unico nell’universo in grado di comprenderlo, un rapporto simile a quello tra Han Solo e Chewbecca o tra C3-PO e R2-D2. Nel primo film, questo espediente genera una serie di gag davvero divertenti, ma poi, all’improvviso, lo stesso espediente eleva il film a qualcosa di più. In una scena, Groot cambia una sola delle tre parole cui ci aveva abituato e, come per magia, lo spettatore capisce esattamente cosa voglia comunicare il personaggio. E così, in un attimo, un simpatico espediente narrativo si trasforma nella chiave che apre al trionfo della fantasia.
Dopo un primo episodio davvero fuori di testa, Gunn ci ha deliziato con un sequel all’altezza, che ha saputo rinnovarsi sacrificando l’avventura in favore delle dinamiche interne e cambiando le interazioni tra i protagonisti che, se prima funzionavano per opposizione, in Vol.2 maturano legami solidi e relazioni complicate. I presupposti per una conclusione in grande stile c’erano tutti, poi però è successo che la Disney ha licenziato improvvisamente Gunn a causa di alcuni Tweet infelici pubblicati tanti anni fa e ritirati fuori da noti attivisti pro-Trump. Senza perdersi in futili polemiche su cosa fosse giusto e cosa sbagliato, perché chi doveva prendere le decisioni le ha prese e chi doveva schierarsi si è schierato, era chiaro a tutti che qualsiasi nome fosse stato scelto per dirigere il capitolo conclusivo di questo franchise non avrebbe mai potuto chiudere il cerchio come l’avrebbe chiuso Gunn. A tutti meno Disney, che per mesi ha cercato invano un sostituto per dirigere il terzo e ultimo capitolo dei Guardiani della Galassia.
Tutti i registi a cui è stato richiesto di raccogliere il testimone di Gunn hanno infatti declinato l’offerta, perché l’impronta autoriale sui Guardiani della Galassia è così forte che nessuno si è sentito di accettare l’incarico. E così la Casa di Topolino è tornata sui suoi passi e ha riabilitato James Gunn. E noi fortunatamente potremo vedere il padre dei Guardiani della Galassia chiudere il cerchio e, chissà, magari chiudere la prima trilogia perfetta di genere.