La domanda più spiazzante dell’anno (tanto da essere il momento-bile di dicembre sul calendario di Zerocalcare) dà il titolo all’esordio di Filippo Bologna, classe 1978. Definito dal regista “un cinepanettone al veleno per topi“, è un film che racchiude in sé più anime: la commedia all’italiana, la black comedy coeniana e il western alla Tarantino.
50% Hateful Eight, 50% Perfetti Sconosciuti
Nonostante sia al suo esordio alla regia, Bologna è tutt’altro che estraneo al cinema italiano: è uno stretto collaboratore di Paolo Genovese, co-autore del caso cinematografico del 2016: Perfetti Sconosciuti.
Le similitudini con il film di Genovese sono parecchie: entrambi sono basati sugli equivoci e sulla caduta delle maschere; sono ambientati in una sola location e in una sola serata; il tempo della cena in Perfetti Sconosciuti è scandito da un’eclissi lunare, mentre in Cosa Fai a Capodanno? è in arrivo una tempesta solare.
Sono due film dalla struttura molto simile ma con personaggi, stile e situazioni completamente diversi.
La regia di Perfetti Sconosciuti è praticamente invisibile, segue il ritmo frenetico della storia, scandita da continue rivelazioni sui protagonisti.
CFC? è decisamente sopra le righe, grottesco e surreale: un Hateful Eight senza strage finale (attenzione, però: il sangue non è affatto assente), un perverso incontro/scontro fra maschere dell’Italia contemporanea.
Nel covo degli scambisti
31 Dicembre: tre coppie hanno deciso di incontrarsi in una baita di montagna per festeggiare l’avvento dell’anno nuovo con una grande ammucchiata. All’ora dell’appuntamento, solo una delle tre coppie presenti nella baita si trova lì per “ammucchiarsi”.
Si tratta di Romano (Alessandro Haber), un ex parlamentare ultra settantenne immobilizzato sulla sedia a rotelle e della sua apatica e sensuale compagna Nancy, molto più giovane di lui. Al loro arrivo trovano in casa Iole (Ilenia Pastorelli) e Mirko (Luca Argentero), due disorganizzati rapinatori che hanno legato e nascosto i veri padroni di casa e stanno al gioco per non essere scoperti. Vengono presto raggiunti da Domitilla (Isabella Ferrari) e il suo apparente toy boy Jacopo (Ludovico Succio), alla ricerca di qualcosa che si trova nascosto all’interno della baita. Lontani dai protagonisti, i due fattorini del catering (Massimo De Lorenzo e Carlo De Ruggieri) e la terza coppia di veri scambisti (Riccardo Scamarcio e Valentina Lodovini) sono alle prese con assurdi contrattempi. Si susseguono scene comiche surreali, malintesi e colpi di scena, fino al culmine raggiunto allo scoccare della mezzanotte.
Qualcuno pensi all’Italia
Sono numerosi i riferimenti nella storia al razzismo dilagante e alle contraddizioni nel comportamento dell’ “italiano medio” di oggi: razzista, maschilista e spaventato. Mirko e Romano, i più emblematici in questo senso, si dimostrano inadeguati moralmente e culturalmente alla società odierna, e sono anche quelli che prendono le batoste più forti. Quella del razzismo (o “classismo”, come dice giustamente Isabella Ferrari in una scena del film) è un leitmotiv più che un tema portante della storia, le contraddizioni degli atteggiamenti da maschio alfa sussurrate piuttosto che urlate. Ma il racconto dell’inadeguatezza di questi uomini, dell’incapacità di comunicare con franchezza con le donne che amano, sono affrontati in modo efficace.
Per quanto riguarda il sesso e la sensualità, motore narrativo dell’epica cinepanettonistica, in questo film vengono trattati come il formaggio nella trappola per i topi: forze che sfuggono al controllo e tirano giù le maschere. I personaggi femminili, nonostante le défaillance, si dimostrano adeguate ad affrontare queste situazioni.
Mo’ tocca strigne
La commedia centra assolutamente tono e atmosfera: combina in maniera efficace citazionismi, generi e ritmo. La regia è al servizio della storia quando serve, si concede talvolta qualche virtuosismo retrò: dall’uso dello zoom à là Marco Ferrei, ai movimenti di camera più “vivaci” che accompagnano i trip da funghi allucinogeni e i balli sulle note delle canzoni vintage come Kobra, Mamma Maria, La musica è finita, e tante altre.
Un esercizio di stile in grado di divertire e intrattenere, anche grazie alle buonissime performance degli attori protagonisti, di cui resta poco dopo che le luci della sala si riaccendono.
Va comunque riconosciuta e apprezzata la fantasia dell’autore che cerca di rispondere alla fatidica domanda: “Cosa fai a capodanno?”.