Quando nel 2013 è stato confermato che il giovane regista emergente Ryan Kyle Coogler – classe ’86 e vincitore al Sundance Film Festival con la sua opera prima, Prossima fermata Fruitvale Station – avrebbe scritto e diretto Creed, spin off della serie di film Rocky, il pensiero di tutti è sicuramente andato a quella scena del sequel de L’Aereo più pazzo del mondo in cui compare il poster di Rocky XXXVIII.
No, a dispetto della facile ironia sull’età di Stallone e dello scetticismo generale su cosa questo personaggio iconico avesse ancora da dire, il film ha funzionato e pure bene. Coogler ha ben pensato di decentrare la scomoda figura di Balboa, e di rendere vero protagonista il suo attore feticcio, Michael B. Jordan (con cui successivamente ha lavorato anche in Black Panther). Non l’ennesimo sequel-operazione-nostalgia dunque, ma un vero spin off con tutti i pregi del caso – che è valso a Sly anche una candidatura all’Oscar come miglior attore non protagonista.
Il successone del primo film ha inevitabilmente portato la produzione a finanziare un secondo capitolo, seguendo la grande regola dei sequel: bigger and badder (più grande e più cattivo).
Un’intuizione geniale
A dispetto di quanto si possa pensare a primo impatto, il voler reintrodurre un personaggio come Ivan Drago non è come ad un certo punto sostiene il personaggio di Tessa Thompson in riferimento all’incontro tra Adonis ed il figlio del russo, “Una trovata commerciale”, anzi. Creed II si apre con il vecchio Drago che, all’alba di una gelida mattina, sveglia il figlio Viktor per andare a lavorare in un cantiere della periferia operaia di Kiev. Una fredda fotografia e tante lente messe a fuoco definiscono la condizione di vita dei due, facendo intuire allo spettatore di come quell’incontro perso con Rocky a Mosca nel Natale del 1985 abbia cambiato radicalmente la vita dell’ex pugile russo. Un incipit potente, con pochissime battute, che lascia parlare le immagini.
Solitamente i primi cinque minuti di un film mettono sempre in chiaro dove il regista voglia andare a parare, peccato che in questo caso si venga tratti in inganno. Nonostante il film inizi con un focus su Ivan Drago & figliolo, il resto del film sembra completamente dimenticarsene. La caratterizzazione dei due personaggi è decisamente abbozzata, e viene dato loro pochissimo spazio durante il resto della pellicola. Senza fare spoiler, anche il finale lascia intuire una storia complicata attraverso una decisione difficile presa da Drago senior. A differenza dell’incipit però, il finale non colpisce duro come avrebbe voluto proprio perché non c’è stato alcun approfondimento del personaggio durante le due ore precedenti di film.
Se c’è una cosa che i tanto bistrattati cinecomic hanno reso evidente è come film di un certo genere funzionano se a funzionare in primis sono gli antagonisti. Creed II fallisce nelle proprie intenzioni e non incide perché non spinge dove avrebbe dovuto spingere. Anziché puntare tutto sulla famiglia Drago, e regalarci un interessante spin off di uno spin off, il film si concentra sul neo campione dei pesi massimi Adonis Creed, facendoci vivere esclusivamente il suo punto di vista. Al suo fianco, troviamo il sempreverde Rocky Balboa, pronto ad affrontare il suo passato, ma dubbioso su quanto sia giusto combatterlo.
Il cambio in regia – purtroppo – si sente tutto. Ryan Coogler, che per impegni con la Marvel non è potuto tornare dietro la macchina da presa, ci aveva regalato un film fresco, originale e per nulla scontato. Il testimone è stato quindi raccolto da Steven Caple Jr., un onesto mestierante capace di svolgere il compitino senza regalarci però nulla di memorabile. Creed II, che guarda con un occhio di riguardo il cinema muscolare degli anni ’80, andrà purtroppo a perdersi inevitabilmente nella miriade di blockbuster che escono al cinema ogni anno. L’aver riportato un villain iconico come Ivan Drago, con un background di quel tipo non sviluppato a dovere è un’aggravante di cui purtroppo non si può non tener conto.