Il mondo del fumetto e dell’animazione Giapponese ha da sempre un rapporto molto proficuo con la fantascienza distopica. Da Akira a Battle Royale, da Nausicaä della Valle del Vento a Ghost in the Shell, non sono poche le storie che si svolgono in un mondo devastato dalla guerra o governato da terribili di dittature militari. La serie anime Deadman Wonderland, del 2011 e attualmente disponibile su Netflix, non fa eccezione.
Deadman Wonderland: la storia in breve
Dieci anni prima che la storia cominci un devastante terremoto ha fatto sprofondare tre quarti di Tokyo nell’oceano. Sulle ceneri della capitale è stato costruito il carcere privato/parco divertimenti “Deadman Wonderland”, dove i detenuti sono costretti ad indossare collari elettronici per essere tenuti sotto controllo ed uccisi, e partecipano a giochi all’ultimo sangue di fronte ad ignari civili convinti che si tratti di una messinscena. Il quattordicenne Ganta Igarashi, tra i pochi sopravvissuti alla catastrofe, non ha alcun ricordo della sua vita prima dell’incidente: trascorre una tranquilla vita scolastica in compagnia degli amici Mimi e Yamakatsu. Pochi minuti dopo l’inizio del primo episodio compare fluttuando fuori dalla finestra della classe di Ganta un uomo con indosso un mantello rosso che stermina tutti i suoi compagni tranne lui. Prima di abbandonarlo, dolorante e privo di sensi fra le macerie e i cadaveri, gli conficca in petto un cristallo rosso.
Al suo risveglio, Ganta si ritroverà a vivere un incubo che gli farà desiderare di non aver mai aperto gli occhi: unico sospettato dello sterminio della classe, dopo un brevissimo e ridicolo processo verrà condannato a morte e sbattuto nel Deadman Wonderland. Per il mingherlino e pavido ragazzo non sarà facile l’impatto con la prigione, ma al suo fianco apparirà subito la misteriosa e infantile Shiro, una formosa ragazza albina con il cervello di una seienne e la forza di Son Goku, e il cleptomane Yoh. Shiro si mostra da subito entusiasta di Ganta, che dice di conoscere dall’infanzia. Dal canto suo, Ganta non ha alcun ricordo della ragazza. Sarà solo grazie a Shiro se Ganta riuscirà a sopravvivere alle prime prove del DW.
L’incarcerazione di Ganta non è stata casuale, e non passerà molto tempo prima che il ragazzo manifesti degli strani poteri: il cristallo conficcato dall’Uomo Rosso nel suo petto gli permette di manovrare il suo sangue in modo da trasformarlo in proiettili. Non è il solo all’interno del DW: nel settore G, un angolo segreto del carcere, si trovano altri carcerati speciali in grado di creare delle armi con il loro sangue, i Deadmen. I Deadmen si affrontano mettendo in scena i loro poteri, i “rami del peccato”, in delle gare chiamate Carnival Corpse, a cui assiste un minuscolo gruppo di finanziatori anonimi pagando ingenti somme. Nel caso in cui il perdente sopravviva, è costretto a far girare una slot machine che indicherà una parte del suo corpo da asportare. Ogni Deadman ha un nome in codice ispirato al regno dei volatili: Ganta è il “picchio”, mentre tra gli altri Deadmen che incontrerà nel settore G ci sono Senji, il “corvo”, Nagi, il “gufo”, e Toto, il “tordo”. L’obiettivo principale di Ganta resterà l’Uomo Rosso, che cercherà invano tra i detenuti del settore G, dove incontrerà invece gli Scar Chain, un gruppo di Deadmen ribelli capitanati da Nagi Kengamine, il gufo. Insieme a questi outsider che tentano disperatamente di fuggire dal DW e smascherare le torture cui sono sottoposti i detenuti al suo interno, Ganta metterà alla prova i suoi poteri e il suo spirito.
Considerazioni
L’anime è tratto dall’omonimo manga del 2007 disegnato da Kazuma Kondou e scritto da Jinsei Kataoka, coppia già collaudata con Eureka Seven. I bassi ascolti dell’anime non hanno permesso di produrre una seconda stagione, così che molti dei quesiti sull’identità e sul passato dei vari personaggi restano senza risposta. I dodici episodi si svolgono in modo frettoloso e poco soddisfacente nonostante l’ottima animazione (in particolare quella dell’undicesimo episodio): gli eventi si susseguono in modo caotico, con personaggi che entrano ed escono di scena in continuazione senza che ci sia il tempo di affezionarsi loro o di conoscerne il passato. Inoltre, la storia non è abbastanza originale da perdonare l’uso di tanti cliché narrativi e stereotipi caratteriali e di genere. Un vero peccato che non si sia colta l’opportunità di visitare come si deve questo universo narrativo dal buon potenziale, viste le belle scene di lotta e alcuni personaggi simpatici e interessanti (il corvo e il gufo per citarne un paio). A livello narrativo tutto sembra accennato: quella che dovrebbe essere la grande domanda della serie, il “Chi ha ucciso Laura Palmer?” della situazione, ossia “Chi è l’uomo rosso?”, viene dimenticata persino dal protagonista: la risposta viene giusto suggerita senza alcuna enfasi allo spettatore (ed è un peccato, visto che si tratta di un interessante colpo di scena). L’ambientazione della storia è meno accattivante rispetto a quelle di altre opere dello stesso genere uscite negli stessi anni. Non che sia indispensabile uscirsene ogni volta con premesse quali “La persona il cui nome sarà scritto su questo quaderno morirà”. SBEM. E inoltre si sa che da grandi premesse derivano grandi responsabilità narrative, come dimostrato da molti pessimi Shonen, Shojo e Seinen. Ma in questo caso manca completamente un percorso chiaro. Nel corso della storia viene buttata una marea di carne al fuoco, tanto da rendere a tratti difficile seguire tutte le svolte e affezionarsi in modo particolare a un qualsiasi personaggio. A cominciare da Ganta, che merita un discorso a sé.
Se permettete parliamo di Ganta
Ganta fa parte di una categoria di protagonisti di gran moda negli shonen degli ultimi anni: i passivi aggressivi quando serve. Si tratta di ragazzi piuttosto anonimi apparentemente privi di carattere o di un qualunque talento che per puro caso si trovano in situazioni assai più grandi di loro. Almeno finché non riescono a tirare fuori, in modo del tutto miracoloso, una forza di volontà e/o un potere e/o una dedizione alla causa fuori dal comune. Una sorta di Akira Fudo di Devilman meno simpatici e senza metamorfosi in Devilman. Di solito vengono nominati talmente tante volte nel corso della storia da infestare per mesi i sogni di chi ha visto l’anime. Fra gli esempi più celebri di questa categoria troviamo Kirito-kun Kiriyama di Sword Art Online, Ken Kaneki di Tokyo Ghoul o Shinji Ikari di Neon Genesis Evangelion, il cui carattere introverso all’inverosimile è però più funzionale alla storia rispetto agli altri esempi. Non che tutti debbano essere buffoni, energici e talvolta pedanti come Goku, Naruto o Gigi la trottola, ma protagonisti troppo anonimi e insicuri diventano noiosi e prevedibili. Insomma, passino Shinji Ikari e Nobita di Doraemon, patrono e capostipite di questo tipo di protagonisti, ma a Shonen con protagonisti così prevedibili non resta che affidarsi alla trama e ai comprimari per mandare avanti la storia, e di solito in questi casi non finisce bene. Parlare di Shiro sarebbe come sparare sulla croce rossa: troppe se ne dicono e sono state dette intorno ai personaggi femminili negli anime e alla loro suddivisione in categorie. Anche in questo caso ci si trova davanti a un fanservice costanti, ad una dedizione per il protagonista incondizionata, alla capacità di spuntare dal nulla e salvarlo e a poco altro. Ah, sì, le piacciono i dolci.
Come già detto gli altri personaggi non hanno uno spazio sufficiente da permettere loro di svilupparsi, nonostante possano essere interessanti e a volte siano dedicati loro interi episodi come nel caso del corvo Senji. Le varie storie non si incontrano mai davvero, vengono solo esposte una dopo l’altra. Ma il problema principale è che non sviluppando praticamente nulla a sufficienza si può parlare dei vari aspetti di questo anime sempre in potenza. L’intera struttura narrativa è sbilanciata e a poco serve aggiungere informazioni e storyline come è stato fatto in questo caso, passando dal dramma giudiziario in stile “sono innocente, vostro onore”, al dramma di sopravvivere in un carcere gestito da gente che dovrebbe starci dentro, al dramma della scoperta di avere dei super poteri, al dramma della sete di vendetta, al dramma della fuga per la libertà, eccetera. Tutto in dodici episodi. Questo è il vero dramma. Meglio scegliere una strada, seguirla fino in fondo e prendersi la responsabilità delle eventuali conseguenze, come recita il settimo principio del bushido. E meglio lasciare gli dei ex machina a Euripide e Nobita.