[Attenzione, questo articolo contiene spoilers]
Akira Fudo (voce di Kōki Uchiyama) è un adolescente senza doti particolari, tutto il contrario di Miki Makimura (Megumi Han), star della corsa campestre e modella, di cui è segretamente innamorato.
Akira vive sotto il tetto della cristiana famiglia Makimura perché i suoi genitori sono in giro per il mondo e da anni non li vede, ha inoltre perso contatti con il suo prezioso amico d’infanzia Ryo Asuka (Ayumu Murase) che improvvisamente ritorna nella sua vita in seguito a una straordinaria scoperta.
Ryo è un adolescente prodigio (e docente universitario) che ha viaggiato per il mondo facendo ricerche su antiche civiltà e ha scoperto la più antica di tutte: quella dei demoni, i primi abitanti della Terra. Ryo condivide questa scoperta con Akira ed è certo che gli attuali cambiamenti in molte persone che manifestano doti eccezionali siano dovuti alla possessione demoniaca, eppure è convinto che un umano dalla forte volontà possa prendere il corpo di un demone rimanendo umano; per provare questa teoria s’infiltra con Akira ad un sabba dove chiede al potente demone Amon d’impossessarsi del suo amico.
Akira domina Amon e diventa Devilman, demone dal cuore umano con la cui forma desidera lottare per proteggere gli esseri umani.
Il Devilman degli anni Settanta.
Il maestro Go Nagai creò Devilman nel 1972, in seguito alla richiesta di creare la storia su un supereroe che fosse sulla falsariga del precedente lavoro, Mao Dante (1971). Nagai osò di più, concentrando in Devilman tematiche toccate nelle precedenti opere, fortemente critiche verso la società nipponica; il risultato fu un manga complesso e dai temi maturi al punto che Toei Animation dovette creare un anime divergere dalla storia canonica.
La serie animata in 39 episodi – andata in onda dal 1972 al 1973 – vede protagonista il demone Devilman spedito sulla terra per conquistarla e che a tale scopo uccide Akira e suo padre, facendosi poi adottare dalla famiglia Makimura per confondersi tra gli umani. Devilman però s’innamora della figlia dei Makimura, un amore dalle conseguenze shakesperiane che porta Devilman a combattere contro la sua razza a protezione del genere umano. Tale versione è pulita dagli intenti di denuncia di Nagai, quanto ne differisce nella struttura e nelle intenzioni, questo vuol dire anche che i contenuti non hanno la stessa carica violenta, tratto distintivo in Nagai. La violenza nel mondo di Nagai è una forma di denuncia, estrema, totalizzante, disturbante; deforma il corpo, deforma l’animo dei personaggi e si espande a macchia d’olio trasformandosi in guerra totale, diventando inevitabilmente apocalittica.
Ci sono state altre versioni animate non destinate alla trasmissione televisiva che hanno tentato di ripercorrere la storia originale, ma sono stati indirizzati ad un pubblico ristretto e lontani dallo spirito di Nagai. Devilman Crybaby è dunque qualcosa di più che un adattamento per ricordarci di quest’opera cult.
Tra fedeltà e differenze.
Ichirō Ōkouchi (Code Geass, Berserk: Golden Age Arc) ha lavorato alla sceneggiatura attualizzando il soggetto originale e portandolo in una realtà globalizzata, creando così una serie animata in 10 episodi che seguono con una certa fedeltà la storia del manga, senza auto-censurarsi; tutto rimanda a quella civiltà primitiva, brutale e semplice che viveva sulla Terra prima dell’uomo e le belle animazioni dello studio Science Saru, sotto la direzione di Masaaki Yuasa (Ping Pong the Animation, Space Dandy), hanno saputo valorizzare questa riscrittura.
Colori forti, scene pulp, sessualità disinibita, desideri nevrotici, canti rap, corse campestri, scontri di inumana brutalità… non c’è niente di statico, ogni cosa è in movimento e ha lo spasmodico bisogno di consumarsi. Questo tipo di espressione artistica è diversa da quella del sensei Nagai, ma non la contraddice: è una reinterpretazione conforme al panorama anime di qualità contemporaneo e lo stile richiama molto a successi come Kill la Kill, Lupin III – La donna chiamata Fujiko Mine, la Monogatari Series e Berserk: Golden Age Arc, serie che hanno cercato di allontanarsi dalla classica animazione giapponese.
Tecnicamente parlando il character design di Ayumi Kurashima (Eureka Seven: Hi – Evolution) e Kiyotaka Oshiyama (Space Dandy) può sembrare l’ostacolo principale, così profondamente distante dai personaggi che conoscevamo, eppure funziona, e lì dove ci sono demoni esso si fa più fedele all’originale, richiamando lo stile degli anni Settanta.
Se da un punto di vista tecnico ogni aspetto è difficile da contestare, i fan più puristi ed affezionati a Go Nagai potrebbero storcere il naso per alcune dimenticanze all’interno della storia e per le divergenze (l’importanza del club di corsa campestre all’interno della storia o il ruolo della gang di rapper, per fare qualche esempio), senza contare che alcuni personaggi importanti hanno un ruolo davvero ridimensionato, ma la fedeltà è indubbiamente nel seguire il canovaccio narrativo che mai era stato affrontato e che si è avuto il coraggio di animare grazie all’opportunità offerta da Netflix.
La televisione giapponese ha regole ferree e non può mostrare scene erotiche esplicite, oltre ad avere limiti anche nel mostrare la violenza, nessuna rete televisiva avrebbe mai trasmesso l’anime o – se l’avesse fatto – sarebbe stata orribilmente censurata e godibile solo all’uscita dei DVD/BD. Netflix ha dunque dato una grande opportunità, aiutando la nascita di una serie anime degna della sua opera originale.
Miki Makimura: il cambiamento più controverso.
Il mondo di Devilman è spietato, dalle prime pagine del manga sembra un mondo senza speranza, disumano, probabilmente per calcare sul fatto che gli umani sono intrusi, ospiti di un pianeta che era solo dei demoni dediti alla legge del più forte. Andando avanti con la lettura è evidente che gli umani non sono poi così dissimili dai demoni e il susseguirsi di comportamenti devianti e violenti può essere un vero e proprio ostacolo alla lettura di un capolavoro che è facile fraintendere e accantonare perché eccessivo.
Sicuramente Devilman non è un’opera per tutti e quando ho letto i primi commenti su Devilman Crybaby, su quanto fosse disgustosamente esplicito, sono stata diffidente e scettica perché dubitavo potesse eccedere rispetto l’originale e… così è. E proprio per questo è un lavoro particolarmente interessante e che riesce a toccare bene le corde emotive dello spettatore.
Vediamo scene di sesso e masturbazione solitaria violente, vediamo la facilità di uccidere per gli esseri umani, di fare a pezzi corpi, ma senza essere una successione di violenza schizofrenica; Crybaby ha una profonda umanità, non si aliena mai da messaggi di speranza, dalla capacità di mostrare l’amore; persino i demoni riescono a commuovere e a mostrare un cuore, mentre viene qualche dubbio sugli essere umani, ed è proprio qui che entra in gioco il personaggio di Miki Makimura, diversa da tutte le versioni conosciute.
La Miki originale era una ragazza in gamba ma che non eccedeva in sentimentalismo, una ragazza dagli umori altalenanti, che ogni tanto si arrabbiava, ogni tanto sbagliava, ogni tanto desiderava, non era una donna angelicata come avrebbe voluto Dante, ma una ragazza come tante. La Miki di Crybaby è una ragazza ancora più in gamba, ancora più forte, ancora più buona, incapace di provare qualsiasi emozione negativa, con il perenne sorriso e una forza mentale che la rendono un personaggio impossibile in quanto realismo e – si sa – i personaggi che tendono alla perfezione d’animo e di abilità non piacciono a nessuno, ma vale davvero lo stesso discorso per Miki?
Considerando che l’opera corre su un sentiero nichilistico distruttivo, Miki ha una funzione salvifica, è quella speranza che riesce a ricordare agli umani (ma non tutti) chi sono, ed è la sua presenza angelica che fa conoscere al mondo il Devilman eroe. Possiamo considerarla una flebile luce nella tragedia e il suo cambiamento radicale ha un certo impatto sulla serie; il risultato può dividere, ma tale cambiamento può considerarsi un arricchimento.
Non è una storia d’amore, ma…
Se Miki Makimura ha uno spazio importante che influenza lo spirito dell’opera, il fascino diabolico di Ryo Asuka merita più di qualche riflessione, in quanto risulta il vero protagonista.
Ryo non ha mai ricevuto le giuste attenzioni nelle trasposizioni animate, senza contare che nella serie del 1972 era il grande assente; Crybaby invece gli offre uno spazio privilegiato rendendolo voce narrante della storia nonché cardine narrativo, origine e fine di ogni cosa, e espediente per puntare ulteriormente il riflettore sulla tematica romantica.
Go Nagai chiarì che Devilman non era una storia d’amore e sicuramente uno spettatore attento non fraintenderebbe il tema romantico come tematica principe, ma la narrazione di Crybaby apre con la voce narrante di Ryo che dichiara di non aver mai saputo cosa fosse l’amore, qualcosa che sicuramente non esisteva per lui. Alla fine di tutto, con il corpo mutilato e senza vita di Akira a fianco, ottenuta la sua vittoria, Satana sente qualcosa e soffre perché non sa dargli un nome e ne è devastato. Noi la risposta la conosciamo e allora ci chiediamo: Devilman è una storia d’amore? No, Devilman Crybaby però trasforma l’amore come elemento critico verso un mondo che ne sembra affamato ma non lo pratica, proprio come fosse un appetito riflesso di Satana. L’innamoramento di Ryo Asuka per Akira Fudo è il plotwist che fa vincere l’eroe dopo la sua morte, ma è anche un elemento che porta in Crybaby ad esplorare l’amicizia tra i due protagonisti e ci dà un’ulteriore chiave di lettura per conoscere meglio Ryo, approfondito con empatia (nonostante il background diverso) e per cui si riesce a provare una sorta di simpatia nonostante la sua natura.
Akira è l’eroe senza macchia che uno spettatore ama facilmente e Miki è molto più che un love interest, è l’eroina morale della storia, ma Ryo è l’essenza crudele, onesta e complessa dell’opera, la parte vinta che alla fine non è neanche il male assoluto, vittima di qualcosa di più grande. Nagai attribuisce il ruolo di antagonista finale a Dio, ma in Crybaby è solo menzionato, d’altronde andrebbe letta tutta la saga cartacea di Devilman per capire meglio, ma è certo che Satana alla fine è colui che ha la perdita maggiore all’interno della serie, a differenza di Akira e Miki.
Il retelling che funziona.
Devilman Crybaby è molto più di un compitino ben eseguito tecnicamente e sicuramente non è un’opera pensata per accontentare un pubblico famelico di elementi trasgressivi e sangue, è un retelling che funziona e stupisce. Gli elementi che differiscono dalla storia originale non attaccano lo spirito dell’opera e questo porta a riflettere su quanto tale storia possa essere attuale.
Considerarlo un prodotto perfettamente riuscito è un’ingenuità che non mi sento di dire, ma può soddisfare ed entusiasmare i vecchi fan ed è sicuramente un’occasione per far conoscere (o riscoprire) Devilman alle nuove generazioni.
Non molti hanno la capacità di toccare saggiamente un soggetto originale, riuscire a renderlo, e poi prendere le distanze da esso per aggiungere qualcosa; per fan puristi è un atto blasfemo, ma se funziona e ravviva gli entusiasmi può davvero essere un’azione sconsiderata? A me questo carattere dualistico di Devilman Crybaby è piaciuto molto, può dividere, ma bisogna oggettivare che è un lavoro ben riuscito su più fronti. Magari ce ne fossero di remake così!