Nella Polonia degli anni 90, neo liberata dal regime comunista, si intrecciano le storie di quattro donne che tentano disperatamente di raggiungere la felicità e la legittimazione di se stesse attraverso una tipologia d’amore proibito e morboso.
Premiato al 66esimo Festival del cinema di Berlino con l’Orso d’argento alla miglior sceneggiatura Le donne e il desiderio, scritto e diretto da Tomasz Wasilewski, è un ritratto impietoso delle sfaccettature più penose che può avere l’essere donna, un film duro che non lascia nessuno spiraglio di speranza per il futuro.
Quasi del tutto privo di colonna sonora e con una fotografia fredda e grigia che non lascia spazio a colori, il film percorre le vicende delle protagoniste riducendo i dialoghi al minimo indispensabile e lasciando uno spazio immenso alle immagini che, senza veli, ci mostrano i dettagli della quotidianità delle quattro protagoniste. Tanto che è possibile avere più volte la stessa sensazione di imbarazzo che si proverebbe se spiassimo dalle tende di una finestra ciò che accade all’interno di un appartamento.
Lo script del film ruota tutto intorno alla potenza visiva delle scene e all’interpretazione delle protagoniste. Si suddivide in tre diversi momenti, ognuno di essi dedicato alla storia e dell’ossessione delle quattro donne, tranne l’ultima, in cui se ne sovrappongono due contemporaneamente.
Nota di merito va alle quattro attrici protagoniste, che riescono pur con pochissime battute, a tratteggiare e lasciar trapelare il carattere peculiare dei quattro personaggi che risultano essere molto diversi fra loro se pur mossi dallo stesso intento.
La scelta di Wasilewski di ambientare dei drammi così disperati in un paese che ha appena riscoperto la sua indipendenza lascia qualche perplessità. Le quattro donne potrebbero essere metafora di un paese che all’improvviso vede aprirsi davanti a sé un ventaglio di possibilità ma che non ha gli strumenti per gestirle, esattamente come una donna che sceglie di fondare la sua identità sull’amore e l’approvazione di un uomo o nel tentativo ossessivo di conquistare qualcosa di impossibile.
L’affresco impietoso che il regista dipinge della femminilità colpisce nel segno, il film lascia molto amaro in bocca e un senso di malessere abbastanza profondo. Rimane comunque il dubbio di quale sia il messaggio tra le righe di un film di questo genere: vuole essere un monito? O un semplice resoconto di quanto in basso si possa spingere una donna per rendere reale qualcosa che con ogni probabilità esiste solo nella sua testa?
Seppur con nuove soluzioni narrative quello che questo film propone è il già abusato cliché della donna disperata che annulla completamente la propria volontà pur di raggiungere un’ideale di amore impossibile.