Nel catalogo di novembre di Netflix è arrivato Dove la terra trema, thriller psicologico interpretato dal Premio Oscar Alicia Vikander, tratto dal romanzo di Susanna Jones, Earthquake Bird. Al centro della vicenda c’è il torbido legame tra Lucy, una traduttrice svedese trapiantata a Tokyo, il fotografo Teiji (Naoki Kobayashi) e la barista americana Lily (Riley Keough). Sarà la stessa Lucy a ricostruire l’accaduto, attraverso i propri ricordi, nella centrale di polizia in cui viene portata a seguito della scomparsa di Lily. Alla regia Wash Westmoreland, direttore di Still Alice e Colette.
Destini incrociati in un thriller atipico
Dove la terra trema è presentato come un thriller psicologico, ma nelle quasi due ore di visione ci si rende conto della sua atipicità. L’intera trama si regge infatti sulle relazioni che legano i protagonisti e soprattutto sulla costruzione del personaggio di Lucy, di cui Alicia Vikander offre un’interpretazione che riesce a essere distaccata, ma allo stesso tempo profonda e sofferta. Il suo sguardo distante e tormentato lascia trasparire la forza traumatica del passato che l’angoscia e costituisce uno degli elementi più inquietanti dell’intera pellicola. Non altrettanto si può dire dei comprimari quanto ad approfondimento. Lily e Teiji sono entrambi stereotipati, e se l’ambiguità è parte del fascino che caratterizza lo scostante e tenebroso fotografo giapponese, le sue ragioni e la complessa natura che la narrazione lascia intravedere avrebbero meritato un’indagine maggiore. Neanche il passato e le capacità di Lily vengono spiegati, anche se nella cupa ambientazione creata da Westmoreland risultano tutto sommato credibili. Vista la quasi totale assenza del mistery, sono le loro interazioni a reggere l’intero impianto di una storia molto più semplice e scarna rispetto ai thriller “puri”.
Paesaggi esteriori e interiori
Particolarmente interessante risulta l’ambientazione della capitale nipponica. Per la maggior parte del tempo lontana dallo skyline irto di grattacieli e dalle ultramoderne luci al neon, l’azione si staglia contro il panorama mozzafiato del Monte Fuji, affascinanti interni tradizionali, utili a ricostruire l’aspetto della città alla fine degli anni Ottanta, ma sopratutto a creare l’atmosfera giusta in cui l’elemento soprannaturale – o meglio, psicologico – possa acquistare consistenza. La messa in quadro è esaltata da una palette opaca e a tratti cupa, che riflette lo stato interiore della protagonista, in cui le fatalità si rivestono di un’aura sinistra. Il regista riesce a creare un senso di straniamento che sovrappone la realtà alla percezione di essa, saturando l’ossessione e il senso di colpa che affliggono Lucy. Questo, insieme alla cura estetica, costituisce il vero pregio del film, che non regala altri particolari brividi nemmeno nel finale, con il twist non abbastanza inaspettato e troppo frettoloso per risultare almeno soddisfacente.
Dove la terra trema è un’analisi psicologica
Dove la terra trema è un film che si lascia guardare nonostante il lento evolversi delle relazioni costituisca la parte nettamente preponderante della sceneggiatura. Niente indizi, indagini, pochi elementi da mettere insieme e assenza di una ricerca del presunto assassino rendono il film molto più vicino a un dramma che non a un thriller. Il regista riesce a tenere l’atmosfera tesa, senza mai concedere momenti di distensione, ma mancano o sono troppo pochi i veri momenti di adrenalina. Il film è nel complesso affascinante, ben interpretato e visivamente curato, ma è in definitiva più un’analisi del personaggio compiuta col pretesto di un mistero che un rompicapo da risolvere, con quello che ne consegue in termini di scrittura e dinamismo. Si sente soprattutto la mancanza di una giustificazione della verità finale che, forse il romanzo prima ancora del film, non sembra interessato a fornire, lasciando spazio alla libera interpretazione dello spettatore.