Era il 2011 quando debuttò per la prima volta sul piccolo schermo Game of Thrones, conosciuto nel nostro paese anche come Il Trono di Spade. Ormai tutti sanno che la serie è tratta dalla ormai celebre saga letteraria A Song of Ice and Fire di George R.R. Martin, ma la maggioranza delle persone in Italia all’epoca non aveva un’idea precisa di cosa parlasse lo show. I più assuefatti al mondo delle serie TV erano già consapevoli che un prodotto HBO avrebbe assicurato copiose scene di sesso e violenza, mentre gli altri si aspettavano l’ennesimo show in costume. Ciò che era certo è che fosse una grossa produzione a cui bisognava dare una possibilità.
Prima e dopo Il Trono di Spade
Chi vi scrive ama il mondo del fantasy in maniera viscerale e come tale ha dovuto collezionare una buona dose di delusioni per ciò che riguarda la tremenda rete di stereotipi in cui è intrappolato questo genere letterario, che spesso non ha giovato al mondo cinematografico e televisivo. Così l’udire il consiglio: “Devi vedere Game of Thrones, ti piacerà di sicuro” non aveva un suono molto rassicurante. Ma per forza di cose la notorietà non può fare a meno di avere la meglio, così chi di fantasy ferisce, di fantasy perisce, tanto che anche il più scettico ha finito per imbattersi almeno nella prima stagione de Il Trono di Spade. Per le prime tre o quattro puntate il sentimento che ha accomunato chiunque non avesse mai letto i libri si può riassumere nella frase: “Adesso chi accidenti era questo?” ma dopo circa la quinta puntata ci ritrovava più presi di una casalinga disperata dei primi anni ‘90 con le nuove puntate di Beautiful.
Nel giro di poco tempo gli spettatori hanno imparato a far mente locale su casate, luoghi e storia di Westeros e a cercare di capire cosa si nascondesse dietro la morte di Jon Arryn. Quanta acqua piena di cadaveri è passata sotto i ponti vero?
Non a caso si parla di cadaveri (e ponti) perché quello che sconvolse gli spettatori non fu solo la sostanziosa quantità di morti di personaggi rilevanti ma l’improvvisa dipartita di quello che tutti i fan neofiti credevano essere il protagonista: il fu Ned Stark. Fu la sorprendente conclusione della prima stagione di Game of Thrones a spingere l’acceleratore sul concetto di “everyone can die”. Di fatto lo spettatore medio del grande pubblico è sempre stato abituato a credere che l’onere di un protagonista fosse quello di sopravvivere fino alla fine. La morte del capostipite Stark ha perciò spiazzato tutti ma ha anche reso ben nota l’idea che in un’opera corale esiste più di un protagonista e non a tutti è concesso il privilegio di una vita duratura. Questo sposta di continuo la focalizzazione della narrazione. Un simile elemento ci è stato rammentato anche dalle Nozze Rosse, evento che ha quasi sterminato la casata Stark, facendoci credere che ormai non avremmo più visto uno Stark a Grande Inverno. Quanto ci sbagliavamo!
Cosa si intende con “fantasy”?
La morte facile è la prerogativa più evidente di Game of Thrones ma non la più importante a livello concettuale per quello che riguarda il genere fantastico. Sta di fatto che lo spettatore medio è abituato ad associare il fantasy al Signore degli Anelli e molti sedicenti autori hanno mal pensato che una qualsiasi opera di stampo fantastico debba essere necessariamente una sorta di plagio dell’opera di Tolkien, non tanto a livello di ambientazione, ma di contenuti.
È risaputo che nell’universo tolkeniano esista una netta linea di demarcazione tra Bene e Male come se fossero due entità ben distinte che veicolano il libero arbitrio di ogni essere senziente. Questa idea ha fatto credere che ogni qualvolta si parli di fantasy debba esserci questa distinzione. La verità è che questa è solo la filosofia della narrativa tolkeniana, ciò che distingue il fantasy come genere narrativo è invece speculare alla fantascienza. In quest’ultima l’elemento soprannaturale è veicolato dalla scienza (plausibile o meno) mente nel fantasy la scienza è sostituita dalla magia. Ciò significa che dinamiche narrative, luoghi e personaggi posso avere qualsiasi caratteristica senza dover necessariamente seguire dei presunti canoni preimpostati.
Un simile ragionamento può essere considerato banale ma prima di Game of Thrones non era un caso vedere uno spettatore non avvezzo al fantasy cercare in opere analoghe elfi, orchi e un oscuro signore. Con Game of Thrones le vicende sono strettamente antropocentriche e la forza della serie, più che nell’ambientazione (che resta comunque estremamente ricca e dettagliata) è incentrata sui personaggi e la loro psicologia. Tale elemento abbatte la dicotomia netta tra Bene e Male, tanto che ogni personaggio presenta svariate sfaccettature il che fa sì che non ci siano più “buoni” e “cattivi” ma “protagonisti” e “antagonisti”. Ciò ha fornito al grande pubblico un’infinità di input su cui ragionare e speculare, creando teorie e congetture che riguardavano non solo sul destino dei protagonisti ma anche sugli avvenimenti futuri.
Questo è dovuto soprattutto al fatto che l’opera originale è attualmente incompiuta, difetto sapientemente utilizzato come punto di forza per tenere ben stretti all’amo non solo i fan della serie televisiva, ma anche quelli della saga letteraria, la cui onniscenza da lettore va ad esaurirsi col finire della quinta stagione. Una scelta tanto azzardata quanto scaltra quella di canalizzare l’attenzione solo sul medium televisivo accantonando, almeno per il momento, lo sviluppo dei libri, anche se la mancanza di una fonte letteraria si è fatta sentire fin troppo bene, con evidente astio da parte dei fan più affezionati (ma questa è un’altra storia). C’è anche da dire che si è progressivamente andata a perdere quella sorta di “zona grigia” che caratterizzava tutti i personaggi man mano che si è andato a formare lo schieramento Umani vs Estranei. Va comunque fatto presente che mai, nemmeno una volta, si è lasciata intendere una qualche contrapposizione netta tra Bene e Male, bensì è stata fatta (e ben evidenziata) tra Vita e Morte. Ciò fa una grossa differenza, soprattutto perché nella poetica di Martin si è chiarito spesso come la morte non sia un fattore necessariamente negativo, restando, quindi, sempre coerente alla sua filosofia di fondo, nonostante tutto.
Less is more
Altro elemento interessante è invece l’uso che viene fatto dell’elemento magico, che non sembra risultare troppo palese o precostruito, bensì viene centellinato e armonizzato con cura in un contesto molto più plausibile. Questa complessità ha reso chiaro come il fantasy possa essere molto più adulto per ciò che riguarda storia e contenuti, ma per rendere ben chiaro che questa “Canzone del ghiaccio e del fuoco” non è una storiella per ragazzini, è stato condito il tutto con scene di sesso esplicito e violenza estrema. Un gesto estremo ma che ha finalmente sdoganato il fantasy dai suoi stereotipi, dimostrando che esistono molte distinzioni interne che interessano differenti fasce d’età. Una simile e sfacciata dichiarazione di maturità nei contenuti ha dato il calcio d’inizio per spingere a investire nel fantasy in maniera differente e con molto più entusiasmo.
Di lì a poco avremmo visto serie tv come Vikings seguire quasi di pari passo la falsa riga del Trono di Spade. Un altro esempio molto più recente è stato l’interesse che ha avuto Netflix per la saga letteraria di Geralt di Rivia che ha ispirato la serie videoludica The Witcher, un brand che aveva già fatto infranto gli stereotipi del genere fantasy per un pubblico molto più di nicchia.
Un’eredità perduta, recuperata e restaurata
La verità è che il fantasy inteso come macrogenere non è mai stato prettamente riservato alla categoria dello young adult, bensì è stato frainteso e veicolato dalle scelte di mercato dell’intrattenimento fatte nel corso degli anni, specie dalla metà degli anni Novanta. Col senno di poi si potrebbe affermare come titoli quali Conan il Barbaro diretto da John Milus o Excalibur di Boorman (pellicole dell’inizio degli anni ’80) precorrano paurosamente i tempi per quello che riguarda il genere fantasy come viene inteso oggi. Non a caso troviamo nuove edizioni fiammanti degli scritti del papà di Conan Robert E. Howard e tanti nuovi investimenti editoriali (alcuni azzeccati, altri meno) sia stranieri che italiani che esplorano in maniera sempre più variegata quello che è il genere del fantastico. Anche nella cultura pop vediamo moltiplicarsi fiere ed eventi legati al fantasy facendo uscire dai ghetti un genere “per nerd” diventando di dominio pubblico. Ancora non è chiaro se questa sorta di Rinascimento del fantasy sarà solo una moda passeggera, sta di fatto che il “cappa e spada” è finalmente tornato a nuova luce uscendo da una reclusione durata svariati decenni.
La rinascita del fantasy, come genere per il grande pubblico, aveva già mosso i primi passi con l’avvento della trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli ma è solo con Game of Thrones che è avvenuta in maniera definitiva. Tra pregi e difetti, momenti epici e fan service, Game of Thrones ha segnato una linea di demarcazione per quello che riguarda il mondo della televisione in particolare e la concezione del fantasy in generale. Non ci resta che metterci comodi e vedere dove ci porterà questa nuova epoca di draghi, spade e mondi straordinari.