Direttamente dal grande classico di animazione del 1941 è tornato Dumbo, il dolce elefantino volante creato dalla Disney, dal 28 marzo nelle sale italiane grazie al live action di Tim Burton. Ecco cosa è scaturito dall’incontro tra il cucciolo dalle enormi orecchie e il creatore di molte tra le fiabe dark più amate del cinema.
C’era una volta…
Negli Stati Uniti del 1919 il circo dei fratelli Medici, nome d’arte dietro al quale si nasconde il solo Maximilian, interpretato da un esilarante Danny DeVito, vive un momento di crisi. La guerra e le malattie hanno decimato artisti e pubblico quando il cowboy Holt Farrier (Colin Farrell) torna dal fronte per riprendere il lavoro di acrobata a cavallo e crescere i figli rimasti senza madre. Proprio i due bambini diventano gli addestratori d’eccezione del neonato Dumbo, di cui scoprono la miracolosa capacità di volare. L’incredibile notizia risolleva le sorti del circo finché il magnate del divertimento Vandevere, uomo eccentrico e senza scrupoli dal volto ambiguo di Michael Keaton, si mette sulla strada dei simpatici circensi per trasformare l’elefantino nell’attrazione principale del suo sinistro parco divertimenti, Dreamland.
Il nuovo Dumbo, meno minimal e più barocco
La cornice visiva in cui si inserisce il racconto è ricca e curata nel minimo dettaglio. Tim Burton non abbandona l’estetica e le suggestioni che lo contraddistinguono per creare una scenografia barocca e a volte sorprendente, pur facendo un uso massiccio di CGI, in cui la cifra stilistica del regista si palesa soprattutto all’interno di Dreamland. Gli angoli remoti del parco, i robot dentro le teche di vetro, l’architettura avanguardista di alcune strutture sono piene di autocitazioni e somiglianze con le opere precedenti del regista. Pur criticando la cattività degli animali che ci lavorano, le riprese non nascondono la bellezza del circo, elegante, coreografico, un microcosmo di linee e illusioni perfette. In tutta questa opulenza una menzione d’onore la merita la charmante Eva Green, un’autentica calamita per gli occhi nei panni della trapezista Colette Merchant, che sfoggia abiti e acconciature incantevoli, valorizzati al meglio dalla leggerezza eterea con cui l’attrice si libra da terra. Le scene aeree tra lei e Dumbo sono le più suggestive del film, mentre è a malapena il caso di sottolineare che quelle che riguardano l’elefantino e la sua mamma sono le più toccanti, grazie a una riuscitissima animazione.
A essere meno coinvolgente è invece la storia che riguarda i personaggi umani. Il cast di star è perfetto insieme sullo schermo, con Keaton e De Vito che rubano la scena ai comprimari. Altrettanto si può dire della variegata congerie di strani personaggi che li circonda, variopinti artisti del circo e minacciosi galoppini dagli stivali sospetti. Anche i piccoli protagonisti, Finley Hobbins e Nico Parker, figlia dell’attrice Thandie Newton, sono azzeccati nei panni di Millie e Joe Farrier. La ragazzina, occhi grandi, fronte scoperta, quasi imperturbabile, sembra una delle creature uscite dalla matita del regista, che le dedica molti primi piani. Eppure è mancato qualcosa. Sarà per la prevedibilità della storia, o per il fatto di avere a che fare con una vera e propria fiaba, in cui ciascun personaggio è buono o cattivo, senza conflitti interiori, o si rivela tale nel momento decisivo, ma questa parte del film non brilla per originalità. E a rinfrescare il cliché non serve neppure l’interesse scientifico ossessivamente dimostrato da Millie, che si inserisce nel filone delle eroine moderne, decise e anticonformiste. Spunti interessanti si intravedono nel passato di alcuni personaggi, soprattutto di Colette, ma non sono approfonditi, forse anche perché l’insieme sarebbe risultato troppo complesso.
Dumbo e Tim Burton: una nuova veste per un vecchio classico
Per la sua versione di Dumbo, Tim Burton propone una trama completamente rivisitata, seppure non priva di citazioni dell’originale, (su tutte i celebri e ipnotici elefanti rosa, ahimè non belli come quelli del cartone), in cui il messaggio animalista, la lotta al pregiudizio e il legame familiare che caratterizzavano il film di animazione si uniscono alla critica al capitalismo e al cinico mondo della finanza, che truffa e gioca impunemente con le vite altrui. Il film, nonostante l’espressività degli occhi digitali del protagonista, probabilmente segue la stessa sorte dei live action tratti dai classici Disney fino ad ora, (risulta cioè meno intenso e bello della versione originale), ma tra questi si classifica per ora in pole position, se non altro per il tentativo di rinnovamento. Infatti Burton non si è limitato a seguire pedissequamente il classico originale con poche variazioni sul tema, come è accaduto per La Bella e la Bestia, ma ha cercato di farne una lettura personale, aggiungendovi del nuovo. Sicuramente non ancora all’altezza del periodo d’oro del regista, ma le quasi due ore scorrono velocemente grazie un ritmo sempre incalzante, dolcezza e risate. Tim Burton è riuscito a creare una favola godibile, anche se non commovente come l’originale.