Con una certa emozione siamo stati tra i primissimi al mondo, dopo un’attesa di anni resa quasi insopportabile dai continui rinvii dovuti al Covid-19, ad assistere a quello spettacolo di film che risponde al nome di Dune, l’adattamento del 2021 del celeberrimo romanzo degli anni ’60, l’ultima fatica sci-fi del lanciatissimo Denis Villeneuve.
L’attesa come detto è stata tanta, spasmodica per gli appassionati di fantascienza di ogni età per una produzione dal cast stellare e dal budget faraonico. Dopo le circa 2’30” passate alla proiezione alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, possiamo rincuorarvi: nonostante qualche micro-difettuccio, il regista di Blade Runner 2049 e Arrival è riuscito nell’impresa che non riuscì al mitico David Lynch nel 1984 e ci ha regalato un film epico, grandioso e uno spettacolo audiovisivo ai massimi livelli che questo medium possa offrire.
Che sia la seconda la volta buona?
Ma andiamo per ordine: Dune (2021) è il secondo tentativo di Hollywood di rendere giustizia a un caposaldo cartaceo della fantascienza dalla trama complessa, intricata e piena di allegorie politico/sociali la cui attualità ancora oggi ne testimonia il valore senza tempo. Siamo nell’anno 10191. Il mondo di Dune vive di una dicotomia classica del genere sci-fi tra antico e nuovo: tanto sono avanzate le tecnologie che ne regolano la vita delle persone, tanto è antiquata la struttura della sua società, governata da un imperatore e suddivisa in feudi controllati da famiglie ultrapotenti, tutte alla ricerca di una singola, preziosissima, risorsa: la spezia.
“Colui che ha il controllo della spezia, ha il controllo dell’universo” è forse la citazione più celebre di Dune e non potrebbe essere più vera: questa misteriosa sabbia è quella che permette alle astronavi di tutto l’universo di annullare lo spazio-tempo e trasferirsi istantaneamente in qualunque luogo, permettendo viaggi stellari dapprima impossibili. La fregatura? La spezia si trova solamente su Arrakis, un sabbioso pianeta inospitale abitato da una misteriosa popolazione tribale (i Fremen) e il cui dominio da secoli determina le fortune della galassia. E proprio la sfida per il controllo del pianeta tra gli Atreides, guidati dal coraggioso e giusto duca Leto (Oscar Isaac), e i malvagi Harkonnen, al seguito del brutale barone Vladimir (Stellan Skarsgård), funge da spina dorsale e casus belli della pellicola.
Un’esperienza audio-visiva kolossale
Il film di Villeneuve segue a grandi linee il canovaccio della storia narrata da Lynch nell’84 e quindi di Paul (Timothée Chalamet), erede al trono della famiglia Atreides, approfondendo in maniera sapiente e necessaria i rapporti tra i personaggi, dando importanza a numerose situazioni e conversazioni che onestamente nell’originale erano trattate troppo superficialmente. Questo risulta a tratti in un film un pochino più “lento” per quanto riguarda la distribuzione tra azione e dialoghi (un difetto intrinseco dell’opera originale), ma è qui che la maestria audiovisiva del regista interviene, rendendo ogni momento imperdibile.
Se nei primi 15 minuti la vostra bocca non potrà smettere di spalancarsi per le incredibili istantanee spaziali dei vari pianeti (la commistione tra ambientazioni naturali dal sapore realistico e queste immanenti navi ci ha ricordato le splendide opere di Simon Stålenhag e relativa serie TV Tales from the Loop a loro ispirata), la vera forza del nuovo Dune sta nella fenomenale fotografia, effetti e taglio di qualsiasi scena, in maniera simile a quanto era successo con il sublime Blade Runner 2049. Il tutto viene poi certificato e sublimato dal lavoro di Hans Zimmer, che dona epicità a ogni sequenza, e da quello così concreto e “gutturale” del team di effetti sonori. Dimenticatevi le bizzarre tecnologie e le battute di Star Wars o Star Trek: la galassia di Dune è dura, industriale e inospitale.
Dune – Parte 1: siamo solo all’inizio
Certamente un ensemble di attori di questa caratura aiuta nella riuscita di un kolossal così, a partire da un Chalamet che dimostra già una maturità incredibile riuscendo a convincere così tanto anche arrivando da un background cinematografico completamente differente. Il ruolo della tanto pubblicizzata Zendaya – una visione celestiale che si aggirava per il Lido in questi giorni – è meno centrale di quanto ci saremmo aspettati, ma dobbiamo e vogliamo rendere omaggio a una fantastica Rebecca Ferguson nel ruolo della madre di Paul e a Dave Bautista, che ormai nei blockbuster si trova alla perfezione.
Dune, sebbene certo non un film corto o leggero, ha un ritmo serratissimo e non lascia un momento di respiro; se proprio ci si volesse trovare un difetto – noi non lo abbiamo sofferto, ma qualcuno potrebbe – è nel finale. Senza ovviamente rivelarvi nulla, vi possiamo dire che il finale può essere accomunato a quello di un primo episodio di una serie, simile a Star Wars: Il Risveglio della Forza o un La Compagnia dell’Anello. Un viaggio fantastico è infatti iniziato con questo film: d’altronde anche la schermata dei titoli recita un eloquente “Dune. Parte 1”.
Missione riuscita, Denis
E così, dopo cinque anni dall’acquisizione dei diritti da parte di Legendary Pictures e i primi contatti con il regista canadese, Dune è pronto ad arrivare nei cinema italiani a partire dal 13 settembre e ha dimostrato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, che Denis Villeneuve è definitivamente entrato nell’Olimpo della Science Fiction. Riportare al cinema Dune, dopo che un mostro sacro come Lynch aveva fallito abbastanza chiaramente (ormai 37 anni fa, dobbiamo aggiungere) era una missione impossibile come quella di rendere giustizia a Blade Runner con un sequel, forse anche più difficile, e il risultato che abbiamo appena visto al Festival di Venezia ci ha soddisfatto in pieno.
Il presente di Dune è clamoroso e il futuro lo sarà anche di più: chissà se i giovani di oggi ricorderanno questo film come si ricorda il primo Star Wars o magari il primo Il Signore degli Anelli. La sensazione è che al Lido di Venezia qualcosa di importante sia iniziato.