Elle (lei), Michèle Leblanc, viene stuprata nella sua casa da un uomo con passamontagna. Dopo il crimine Michèle si rialza, spazza via il disordine e ciò che è andato rotto durante la colluttazione, fa un bagno e accoglie in casa il figlio tornato da un viaggio con la sua fidanzata. Non una lacrima, non una chiamata alla polizia, nessuna reazione emotiva, gestisce la violenza con un pragmatismo glaciale che si adatta al suo essere una self-made-woman. Michèle è infatti la dirigente di successo di un’azienda di videogiochi dove riveste un ruolo dominante tra tanti giovani uomini che la detestano, temono e ammirano.
Solo giorni dopo, ad una cena tra persone fidate, parla dello stupro per poi cambiare argomento; non possono che consigliarle di denunciare alla polizia, ma lei non lo farà mai a causa del suo passato: suo padre si è macchiato di una strage coinvolgendola quando era una bambina e nessuno ha mai pensato che anche lei fosse una vittima di quello che chiama mostro. Il mostro in questione, inoltre, potrebbe essere rilasciato a causa delle sue condizioni di salute molto precarie e diventa un argomento molto scottante nella società francese, tanto che sua madre l’avverte: qualcuno, riconoscendola, potrebbe andare decisamente oltre il lancio del cibo e qualche urlo di disgusto.
A casa intanto l’attende un altro mostro che si nasconde, che entra dentro casa con facilità, che ha il suo numero e la perseguita pronto a colpire.
Sciacquare i panni in Senna
Il soggetto è il romanzo Oh… by Philippe Djian trasposto da Paul Verhoeven, il regista olandese che ha legato il suo nome a cult che hanno fatto storia e soprattutto sono stati oro per i botteghini (nonostante la loro discutibile qualità), tra tutti il film che la critica vuole legare a Elle: Basic Instinct. Comparare i due titoli per il carattere thriller e il fascino della protagonista, è come dire che Thelma e Louise e Il Signore degli Anelli sono simili, in quanto c’è un viaggio avventuroso al centro della vicenda. Basic Instinct nasce da una Hollywood che agli inizi degli anni Novanta ancora non era in grado di portare sullo schermo film dai toni sensuali con una donna sessualmente disinibita, dichiaratamente bisessuale, elementi che risultarono scandalosi a un pubblico prevalentemente puritano. Elle nasce dalla penna di uno stimato scrittore francese con intenzioni molto più dissacranti, non volto a cercare lo scandalo, bensì a scuotere l’agghiacciante ipocrisia di cui tutti siamo vittime, quanto carnefici. Questo diventa anche l’obiettivo di Paul Verhoeven che per realizzare Elle ha pensato (e proposto) la parte per attrici come Nicole Kidman, Sharon Stone, Charlize Theron, Julianne Moore e Diane Lane, ma ha ricevuto rifiuti a quante l’ha proposto. Così Paul ha dovuto guardare all’Europa, alla Francia, per poter portare sullo schermo un personaggio tanto complesso come quello di Michèle, ma in un primo momento anche diverse attrici francesi – una volta letta la sceneggiatura – hanno rifiutato la parte. Solo Isabelle Hupert, avendo letto il libro di Dijan, si è proposta, l’unica entusiasta ed affascinata dal personaggio. Grazie a questo ruolo ha vinto tanti prestigiosi premi in Francia quanto in concorsi internazionali, fino a vincere il Golden Globe (che ha costretto l’Accademy Awards a metterla in lizza tra le candidate al premio Oscar come Miglior Attrice Protagonista, anche se era chiaro che non sarebbe mai stata premiata). Eppure collezionare ben ventuno premi non sembra abbastanza: Michèle è uno di quei personaggi che difficilmente si dimenticano e Isabelle Hupert è stata davvero immensa davanti all’obiettivo, le parole non possono renderle giustizia.
Un viaggio freudiano
Elle è in prima istanza un film psicologico che si lega poi al thriller, al dramma, a una storia di vita, che nella sua incredibile singolarità riesce a turbare perché parla di noi, dell’essere umano e dei suoi segreti. Tutti abbiamo dei segreti, desideri e pensieri inconsci, in Elle siamo portati a conoscere, poco alla volta, quelli di Michèle e delle persone che la circondano. Ogni segreto più intimo finisce per incontrare quello di Michèle, svelandoci poco a poco una realtà in ombra che si estende in ben altre zone oscure, ma non si direbbe esattamente una discesa infernale, piuttosto una regressione umana che tocca istinti primari (e no, non vuole essere una citazione a Basic Instinct).
Michèle è una donna più che emancipata, sessualmente libera, di brillante intelligenza, ci diverte con la sua ironia al vetriolo che non fa sconti, ci lascia interdetti per alcuni comportamenti, ci inquieta per la sua capacità di non avere gli occhi umidi di fronte a tanta violenza, ci fa simpatizzare davanti alla sua brutale onestà che stride con ciò che tiene segreto e che ridimensiona in modo perverso la sua posizione di vittima. Eppure quella Michèle – che apparentemente è tutto fuorché un personaggio morale – alla fine, toccando il fondo, arrivando al punto più follemente primordiale del suo rapporto col mondo, identifica la mostruosità in ogni costrutto sociale, in ogni forma di educazione, in ogni convenevole; l’etica stessa si svela come un male degenerato a cui lei vuole mettere la parola fine svelando ogni zona d’ombra del suo mondo. Se la sua tesi sembra assurda, difficile da accettare e capire, sarà in dettagli di alcuni scambi di battute finali che avremmo chiaro cosa è davvero perverso.
Tra le cose più perverse che qualcuno possa fare, c’è il perdersi questo film. La critica l’ha osannato, ma troppo poco se n’è parlato e questo risulta scandaloso: film simili ce ne sono in abbondanza, ma toccano in pochi la perfezione, pochi diventano lavori sublimi a cui è facile pensare e ripensare anche a lunga distanza di tempo dalla visione. Elle ci disturba – ma con piacere -, ci emoziona – senza bisogno di lacrime -, ci diverte – forse più di quanto sia plausibile – e ci dimostra quanto sopravvalutata sia Hollywood, capace sì di creare gioielli come La La Land che fanno e sanno come far parlare di loro, ma quando poi si vedono pellicole come Elle si capisce che Hollywood non potrebbe mai produrle, quindi non ci si può che chiedere perché – a parte le lodi – resta il silenzio, quando fin troppo si potrebbe (e dovrebbe) dire su un film simile, sia per i suoi contenuti, quanto per la parte artistica (totalmente francese, su desiderio di Verhoeven che ha imparato la lingua appositamente).
Nonostante il 2016 abbia prodotto pellicole emozionanti, importanti e belle, non sento di esagerare nell’affermare che Elle è il film capolavoro del 2016, e potrebbe anche rimanere nella posizione più alta di questo podio virtuale anche nel 2017. Vedere per credere.