Il 3 marzo si è conclusa in America la prima stagione di Emerald City, la serie televisiva sviluppata per la NBC da Matthew Arnold e Josh Friedman, diretta da Tarsem Singh.
Come il titolo suggerisce a chi tra il pubblico è più versato nelle vicende cinematografiche e letterarie, Emerald City non è che una trasposizione in chiave moderna delle avventure di Dorothy Gale (Adria Arjona) nella terra di Oz, nata dalla penna di L. Frank Baum, già consegnata alla storia del cinema dalla celebre opera di Victor Fleming, Il Mago di Oz, film musicale del 1939 interpretato dall’indimenticabile Judy Garland.
Se però già vi state immaginando allegri saltelli sul sentiero dorato con lo Spaventapasseri e l’Uomo di Latta al ritmo di Over the Rainbow, fermate la musica, dimenticate i papaveri e caricate la pistola perché la terra di Oz non è affatto un posto tranquillo.
Dunque si riparte dai noti campi di granturco del Kansas, tra i quali l’infermiera ventenne Dorothy vive con gli zii quando, in una notte cruciale per la sua vita, viene trasportata a Oz da un violento tornado. Analogamente a quanto avviene nella storia originale, la giovane è coinvolta in avventure fantastiche e incontra personaggi stravaganti lungo il cammino fino alla Città di Smeraldo, subendo però numerose torture e rischiando più volte la vita.
Ma l’arrivo dal mago non è che la metà del percorso: il regno versa in un grave pericolo per via di un’imminente minaccia ancestrale ed è diviso da lotte interne: tra città antiche e industrializzate, tra il Mago e le Streghe la cui alleanza è in equilibrio precario, tra le stesse streghe sorelle e rivali, tra magia e scienza, tutto saldato in un intreccio di vicende di cui Dorothy e l’importanza del suo misterioso passato piombano nel mezzo.
La trama che conosciamo risulta rivista e arricchita di personaggi e sottotrame che sfumano nella saga familiare, ben oltre la linearità del sentiero tracciato da Baum nel primo capitolo della sua opera. Le metafore originali sono mantenute ma rese drammatiche, a tratti violente, inserite in story-line autonome; i protagonisti sono più fortemente caratterizzati, le loro vicende personali reinventate e approfondite, meglio accostate alla realtà umana contemporanea.
La produzione sembra quindi aver recepito quelle che sono le direttive del fantasy televisivo moderno, in buona sostanza inaugurato da Game of Thrones: più umano, oscuro ed epurato da creature multiformi e regge di cristallo. Tutti i personaggi hanno forma umana, costumi e trucco attingono chiaramente a immagini riconducibili ai nativi americani, alla Venezia ottocentesca e passerelle postmoderne.
Anche l’ambientazione è realistica, (basta notare quanto nella Emerald City sia riconoscibile il Parco Guell di Barcellona), e nel corso della storia varia da villaggi tribali, fortificazioni medievali, città tecnologiche dall’estetica steampunk che ricordano una Londra vittoriana e in piena rivoluzione industriale, il tutto mescolato sincronicamente per un bell’effetto di insieme.
A interpretare questo collage di storie e personalità c’è un cast internazionale tra cui spiccano Vincent D’Onofrio nel ruolo di Oz, Joely Richardson come la Strega del Nord Glinda, il giovane Oliver Jackson-Cohen (Faster, The Raven) a incarnare lo smemorato Spaventapasseri e anche Fiona Shaw, nota al grande pubblico sopratutto per aver incarnato l’arcigna zia di Harry Potter, Petunia Dursley.
Tra tutti i personaggi, una menzione d’onore la merita il Mago, la cui natura è qui profondamente trattata, senza renderlo eroico, come nell’adattamento di Sam Raimi nel 2013. Frank Morgan è infatti un assistente di laboratorio, bugiardo seriale, truffatore non redento, costretto dalla propria insicurezza a dibattersi continuamente sull’orlo del suo stesso bluff e spinto a reazioni estreme.
Abituati come siamo alle reinterpretazioni dei classici è indubbio che Emerald City non costituisca un’operazione originale. La serie si presenta come un catalogo completo di tutti gli elementi ormai imprescindibili negli show televisivi: l’amore, la morte, il sesso, la vendetta e altre tematiche di forte sensibilità in questi tempi, come l’identità sessuale. Non mancano neppure le sorprese, che sostengono un ritmo narrativo serrato, in cui ad annoiare maggiormente è forse proprio l’eroina, forte ma scontata, troppo confusa per risultare un personaggio interessante.
L’impressione generale è che gli autori abbiano messo molta carne al fuoco, sviluppando in maniera frettolosa tutti gli archi narrativi, tanto che le scelte e l’evoluzione dei protagonisti non sempre paiono sostenute da un processo di crescita interiore, e anzi alcune risultano incoerenti e difficili da seguire.
Anche il finale lascia perplessi: aperto ad un sequel del quale ancora non si conoscono le sorti e caratterizzato da un notevole buco narrativo, che forse verrà colmato da una seconda stagione. In conclusione, da questo primo capitolo non si può dire che Emerald City sia uno spettacolo da non perdere. Consigliabile se non si ha nulla da guardare o per colmare l’attesa tra una stagione e l’altra delle serie tv che preferite.