Con un intelligente gioco sulle date nel titolo, Michael Moore torna alla ribalta, dando al suo nuovo documentario lo stesso nome di quello del suo lavoro più di successo, investendolo non ufficialmente anche del ruolo di seguito, almeno spirituale. Dopo Fahrenheit 9/11, con le sue riflessioni post 11 settembre, George W. Bush e compagnia bella, date il benvenuto a Fahrenheit 11/9, presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma, dove noi baldi giovini di Moviesource lo abbiamo visto per voi e brevemente incrociato anche il regista, presente alla kermesse cinefila nella capitale.
Perché 11/9? È presto detto, si tratta della notte nella quale Donald Trump venne ufficialmente annunciato come presidente degli Stati Uniti, sfatando tutti i miti e le previsioni della stampa e degli addetti ai lavori, venendo eletto al posto di Hillary Clinton e iniziando il suo mandato. Proprio dal dissacrante racconto di quella notte incredibile inizia il film, due ore volate in compagnia della voce, del carisma e dell’umorismo di Moore, scatenato nel raccontare non solo il suo punto di vista sul personaggio Trump, sulle ragioni per la sua elezione e le conseguenze che ne sono derivate e deriveranno nei prossimi anni, ma anche e soprattutto alcune storie di terribili fatti avvenuti negli ultimi anni negli USA come le sparatorie di massa nelle scuole, il caso dell’acqua avvelenata di Flint, Michigan e la condizione degli insegnanti sottopagati.
Una rivoluzione che arriva dal basso
Sono proprio queste storie a rubare la scena sinceramente, ben più delle parti (concentrate all’inizio e alla fine del film) dedicate al quantomeno istrionico tycoon. Tramite le interviste, le battute e il sapiente montaggio, Moore riesce a rendere fruibili da ogni frangia del pubblico tematiche e problemi decisamente complessi, interpretandoli ovviamente alla sua maniera, qualcosa che ha sollevato alcune critiche in passato riguardo al suo lavoro. Detto questo, si tratta del “suo” documentario, delle “sue” esperienze di vita e delle “sue” battaglie, quindi ci sembra più che normale avere un punto di vista molto personale: non stiamo parlando di un programma su History Channel in fondo. E nonostante la parte più dissacrante del personaggio – che non risparmia di colpire elementi di spicco sia a destra che a sinistra – può non risultare gradita a tutti e a volte risulti forse fin esagerata, dove Fahrenheit 11/9 fa un lavoro encomiabile è nel raccontare lati nascosti degli Stati Uniti e farci conoscere movimenti e persone ammirevoli che cercano di cambiare la situazione con le loro, spesso limitate, risorse.
Veniamo infatti a contatto con il movimento giovanile che è scaturito dai ragazzi sopravvissuti alla sparatoria di Parkland (FL) ed è riuscito in pochi mesi a portare milioni di persone in piazza per protestare a favore della regolamentazione delle armi, così come con la popolazione di Flint, la città più povera degli US e “avvelenata” dalla speculazione edilizia messa in opera dal suo governatore, il quale ha fornito gli abitanti di un’acqua ricca di piombo, mettendo in pericolo apparentemente in maniera cosciente migliaia di persone. Infine, è bellissimo scoprire una nuova classe politica schierata a fianco degli insegnanti, figure sottopagate e cruciali in moltissime comunità povere statunitensi: giovani che speriamo possano creare un futuro migliore per una nazione che ha davvero bisogno di nuove guide.
Michael Moore al suo meglio: al fianco delle persone
I mini-capitoli che costruiscono la colonna vertebrale della narrazione di Fahrenheit 11/9 presi singolarmente fanno veramente riflettere e colpiscono a fondo, mentre è l’apparente schema che li comprende e incanala tutti verso una critica globale a Trump che forse non regge come dovrebbe. Sebbene infatti ognuno di questi racconti sia testimonianza di una situazione di disagio recente negli Stati Uniti, i legami implicati da Moore che vedrebbero Trump responsabile diretto o indiretto di questi problemi sembrano non così evidenti e meritevoli di approfondimenti e prove più tangibili. Oltre a questo, specialmente nel finale con una clip che sicuramente farà il giro del mondo, Moore sostituisce l’audio di un vecchio discorso di Hitler con quello di un comizio di Trump. Le immagini fanno decisamente effetto, ma possiamo capire non sia per tutti. Detto questo, fanno molto più scalpore invece le dichiarazioni agghiaccianti dell’attuale presidente negli anni contro stranieri o altre minoranze, oltre al suo rapporto “bizzarro” con la figlia Ivanka: la genialità di Moore sta nel ribadire come Trump sia sempre stato molto esposto, molto pubblico in tutto quello che ha fatto, “nascondendosi” in bella vista per tutti questi anni. Ed è comunque riuscito a farsi eleggere, inspiegabilmente.
Fahrenheit 11/9 ci ha convinto, davvero. Moore riesce a intrattenere ma anche a far riflettere e in un paio di situazioni abbiamo avuto sentito una lacrimuccia spuntarci dall’angolo dell’occhio. 11/9 riesce a essere inoltre più “per tutti” anche di 9/11, documentario che aveva trattato argomenti molto complottistici sull’11 settembre non facili da digerire. Qui è più facile individuare i “buoni” e i “cattivi”, e il filo conduttore dei movimenti creati dal pubblico e della filosofia del “se non ti piace, cambialo” possono ispirare chiunque a impegnarsi per la propria comunità e migliorare le cose. Altre parti come detto potrebbero sembrare troppo intense o dissacranti per il grande pubblico, ma siamo davvero grati che Moore, siate d’accordo con lui o meno, sia ancora pronto a provare ad arrestare un politico corrotto o andare nei quartieri più difficili ad ascoltare le persone, c’è bisogno di voci come lui nel mondo.