Nella borghese provincia americana degli anni ’50, in cui i ruoli e i generi s’impongono netti e immutabili come le capigliature dei Cugini di Campagna, la Signora Fairytale (un femminilissimo Filippo Timi) vive la Favola della perfetta casalinga al marito e alla casa devota.
Le giornate della donna scorrono liete e ovattate tra lavori domestici, chiacchiere effimere e tè corretti col whisky, l’ipocrisia patinata e l’anestetica estetica sono le qualità di una signora modello di femminilità e abnegazione.
Qualità che Mrs. Fairytale possiede e che fanno pendant con le ampie gonne a ruota, moquettes dalle tinte pastello e un barboncino impagliato di nome Lady che dispensa consigli pregni di un gusto impeccabile.
E poco importa se sia tutta finzione, per imbrigliare un’inesistente realtà basta crederci, crederci veramente.
Fino a che un giorno uno sprazzo reale s’infiltra nella favola della moglie perfetta, che scrutando lo specchio non riesce più a riconoscersi e scopre di essere diventata un uomo.
Ed è allora che il velo di Maya cede lo spazio alla surreale e spontanea realtà dell’amore, dell’accettazione identitaria, della libertà.
Una commedia prestata al cinema
Favola è una commovente commedia che si burla degli anacronistici cliché di genere propri del dramma e del noir, diretta dal regista italo-argentino Sebastiano Mauri che traspone magistralmente l’antecedente opera teatrale, citando con gratitudine il palcoscenico vivo che ne ha svezzato la trama.
Quasi interamente ambientato nella location costituita dalla leziosa dimora di Mrs. Fairytale, il lungometraggio co-sceneggiato da Mauri e da Filippo Timi strizza l’occhio al teatro grazie alle abilità recitative dei protagonisti e ai pannelli trompe l’oeil che ingannano lo sguardo dello spettatore che osa indagare oltre le mura domestiche.
L’amabilmente pacchiana staticità della prigione dorata vibra di una maniacale attenzione per i dettagli, cristallizzando ogni scena per farne un funzionale prototipo nel dinamismo della sceneggiatura.
La miglior Favola per Sebastiano Mauri
Il regista di Favola, al fine di rendere la propria creatura una piccola perla del grande schermo, si avvale delle migliori maestranze.
La scenografia di Dimitri Capuani (Nastro d’argento e David di Donatello per Il racconto dei racconti) rende alla perfezione il frivolo gusto barocco degli anni ’50, componendo in maniera impeccabile ogni quadro sul quale si posa lo sguardo registico.
La fotografia di Renato Berta si prostra alla fiction denotando un’ossequiosa riverenza dei generi che hanno conferito al cinema americano il magistrale attributo di “classico”.
Il trucco e i costumi palesano con pertinenza ineccepibile ogni intenzione dei personaggi.
I dialoghi puntuali definiti dalla sceneggiatura vengono interpretati da un cast straordinario.
Filippo Timi appare perfetto nei panni vezzosi di Mrs. Fairytale, così come Lucia Mascino, che interpreta egregiamente la più emancipata e pragmatica signora Emerald.
Favola è un film che tratta importanti tematiche in maniera cortese e irriverente, cavalcando un’onesta didascalia senza scadere nelle banalità, o peggio, nel qualunquismo.
Ed è questo un merito tutt’altro che scontato in un mondo, che è anche quello del cinema, che sempre più spesso vuole erigersi esibizionista e arrogante a dettare superficiali estremismi volti a sbraitare ragioni lontane dal vero e dalla ragione.
La Favola di Sebastiano Mauri sembra invece danzare sulle molteplici sfumature della natura umana, qualunque esse siano, a prescindere dal genere, dall’identità o dalla preferenza sessuale, volteggiando in uno sfoggio di variopinte realtà che, svincolate da ogni giudizio, sopratutto dal proprio, possono finalmente e semplicemente essere.