L’ultima creatura artistica del maestro Andrzej Wajda (6 Marzo 1926 – 9 Ottobre 2016) è in modo amaramente ironico il racconto della fine di un altro artista, il pittore Władysław Strzemiński.
Władysław Strzemiński nacque nella russa Minsk, naturalizzato polacco, fu un soldato, un rivoluzionario, un pittore d’avanguardia fondatore del movimento artistico dell’unismo.
La pellicola non cattura il dinamismo di una vita frenetica di azione, viaggi, ricerca e collaborazioni con importanti artisti come Wassily Kandinsky e Marc Chagall, ma ci mostra uno scomodo professore universitario – senza una gamba e un braccio – che il Partito Comunista cerca di convertire alla pittura socialista realista; prima con la diplomazia, poi togliendogli la cattedra all’Accademia di Łódź e pian piano adottando strategie per impossibilitarlo a vivere.
La teoria dei colori
Se Afterimage racconta gli ultimi eventi della vita di Strzemiński, non è possibile classificarlo totalmente come un biopic, quello che è messo in scena è un lavoro molto più ricercato, tecnico e concettuale rispetto a un semplice film biografico.
La pellicola apre mostrando un bellissimo panorama immerso nel verde, una scena dove regna la luce – oltre che la serenità – dove il pittore spiega cos’è un’immagine residua. Essa è un’illusione ottica che crea un’immagine che continua a comparire alla vista anche quando l’esposizione dell’immagine originale è cessata ed è stimolata dai colori usati, per esempio fissando un’immagine color verde, avremmo un’immagine residua di color magenta. L’immagine residua è così centrale nella Teoria della Visione di Strzemiński, opera su cui concentra tutte le sue energie aiutato dai suoi affezionati allievi che gli sono a fianco anche dopo il suo licenziamento.
La Teoria della Visione è un elemento narrativo centrale, sì, ma è la fotografia, ispirata ad essa, la vera protagonista del film. Se la prima scena si apre con un’esplosione di colori e luce e i quadri di Strzemiński sono ricchi di colori, quanto le opere nella la sala neoplastica e costruttivistica del museo Sztuki di Łódź, vediamo gli edifici, i loro interni, le strade e la casa del pittore essere di colori freddi, molto scuri; principalmente nella pellicola predomina una scala di grigi che sembrano intensificarsi man mano che le opere vengono coperte e distrutte, accompagnate dal blu che si sostituisce agli ambienti luminosi (non a caso il giallo stimola un’immagine residua blu). Unico colore vivo, brillante, che si fa violentemente spazio nelle scenografie è il rosso.
Colori e trama sono strettamente legati, un ulteriore omaggio intenzionale al pittore fondatore dell’Unismo, ovvero la teoria artistica sviluppata da Strzemiński basandosi sullo studio del Cubismo e del Suprematismo che tendeva a stabilire un’unità organica di trama, colore e composizione. L’obiettivo è raggiunto in modo squisitamente sublime da Wajda che ha mirato all’unità anche di altro: dell’uomo e dell’artista. Molto spesso si separa la vita di un uomo da quella dell’artista, due aspetti che sono comunicanti ma non uniti, in Afterimage però non esiste un uomo Strzemiński e un artista Strzemiński: sono in modo naturalmente omogeneo la stessa cosa, la crisi dell’uomo Strzemiński è la crisi dell’artista, così come la morte è quella dell’artista.
E di cosa può morire un artista? Di realismo secondo Wajda che non si concede di essere visionario, né romantico, se c’è del simbolismo – come nelle altre opere – è sempre strettamente legato alla realtà e al contesto storico.
Il fascino dell’Opera Ultima
Ogni ultima opera di un artista è imbevuta di un fascino misterioso in cui si ricercano messaggi, in cui si riscontrano indizi che sembrano prevedere la dipartita del suo autore. Caso o no che sia, Afterimage riesce molto più a parlare di Wajda che di Strzemiński, ma questa è anche la caratteristica che rende tale ogni film d’autore.
La critica è sempre propensa a consacrare le ultime creazioni come i capolavori indiscussi, il trionfo massimo del genio artistico, un atteggiamento melodrammatico che in qualche modo offende anche l’opera omnia di un artista. Afterimage è stato così presto investito di tali onori, ma affermare con indiscussa certezza che è il capolavoro massimo di Wajda non è così semplice quando ci si trova davanti a un regista vincitore di numerosi importanti premi a livello mondiale che gli sono valsi anche l’Oscar alla Carriera, il Leone d’Oro alla carriera e l’European Film Awards alla carriera.
Afterimage fa parte del cinema d’essai, quel cinema che sempre più raramente entra nelle nostre sale cinematografiche e che guadagna cifre imbarazzanti ai botteghini, per cui troviamo molta tecnica, molta essenzialità nella messa in scena, una colonna sonora quasi assente, spogliato, pulito da ogni elemento che possa drammatizzare la storia o renderla melodrammatica. Tutto è puntato sul gioco tra regia, fotografia e recitazione, dove la star polacca Boguslaw Linda (nel ruolo di Strzemiński) cattura la scena di cui è sempre padrone, un padrone che i soli silenzi rendono affascinante.
Non ci sono dialoghi indimenticabili e discorsi carismatici o commoventi, perché sono l’espressività e il movimento a rendere brillante la recitazione, le parole e i discorsi sono lasciati a chi non è un artista e ai membri del Partito Comunista; Strzemiński preferisce esprimersi con la pittura e non essere certo di nulla, se non di rimanere fedele a se stesso, e le uniche parole importanti sono quelle in cui spiega cos’è un’immagine residua.
Lineare e pulito è il montaggio, ma non la narrazione che ha diversi buchi, a dimostrazione che non era interesse del regista concentrarsi su un film biografico, ma sulla lenta fine dell’artista di cui tanti rimangono i misteri per lo spettatore, fino alla fine.
Il gioco dell’immagine residua
Come tutta la filmografia di Wajda, Afterimage non tradisce un carattere anti-sovietico, storico e realista; combinato con un amore sincero per il cinema, nel quale non sembra necessario sapere tutto della storia, ma è importante coglierne il carattere unitario tra contenuto e messa in scena. Questo non lo rende un film per tutti, non è un film facile da seguire in quanto lento e non predisposto a dare spiegazioni biografiche; esattamente come il suo titolo punta di più sull’immagine residua che lo spettatore avrà di esso nel tempo.
Potremmo essere romantici – e fantasiosi – e ipotizzare che Wajda abbia desiderato lavorare a qualcosa che lasciasse un’immagine del se stesso uomo-artista, ci sono tutti gli elementi predisposti a formulare che Afterimage sia una combinazione di caratteri ed espedienti già usati, celebrati in una sola pellicola, forse per un reale congedo dalla vita-arte.
L’immagine residua, personale, che ho di questa opera è quella di un cinema diverso e quasi dimenticato, una pietra preziosa, finemente lavorata che fa sfigurare la bigiotteria che ordinariamente ammiriamo e lodiamo e, per tanto, rende nostalgici al pensiero che certi maestri ci hanno lasciato, anche se potremmo sempre ricordarli sempre nei loro gioielli.