Il quarto episodio di Feud – Bette and Joan intitolato More, or Less non si risparmia neanche questa volta tra drammaticità e pathos, raccontandoci la difficile e lenta risalita delle carriere di Bette Davis e Joan Crawford.
Se il film aveva portato le due donne a sperare di poter ritornare sotto le luci della ribalta con nuove proposte di lavoro, si sbagliavano. Nonostante il grande e inaspettato successo di Che fine ha fatto Baby Jane? nessuno vuole ingaggiare due attrici troppo mature, ma mentre la Davis sfrutta l’occasione cavalcando l’onda con il tour promozionale del film, la Crawford cade in preda alla disperazione e all’alcol, ricevendo poi il colpo di grazia con le nominations agli Oscar.
La denuncia del regista Ryan Murphy è sempre più chiara, Feud – Bette and Joan, si fa portavoce di una critica sociale nei confronti delle disuguaglianza di genere, e la faida tra le due attrici è solo il contorno accattivante di un tema ben più impegnato. Attraverso le scarse proposte lavorative per Joan e Bette, vista la loro ormai tarda età, Murphy affronta un argomento attuale negli anni ‘60 come lo è ora purtroppo, ovvero l’eterna battaglia per la parità dei sessi che sta molto a cuore anche alle attrici del nostro tempo che fanno sentire la loro voce spesso in occasione proprio del ritiro dell’ambita statuetta.
Il tema viene ripreso in maniere molto più esplicita, attraverso Pauline Jameson, l’assistente alla regia di Aldrich (Alfred Molina), che cerca di farsi strada come regista proponendo una sua sceneggiatura originale. La società però non è pronta per vedere una donna dietro la macchina da presa e nessuno ha intenzioni di investire sui sogni di una donna, nonostante possa essere una promettente regista. Ma il vero problema che il regista vuole portare a galla è proprio quello di dover vivere un’intera vita sotto l’ombra di un’etichetta soffocante che costringe a ridimensionare le proprie aspirazioni e i propri sogni, come quello di diventare una regista donna, o un regista di film di serie A, o un’attrice di successo nonostante l’età. Per citare Bette Davis, “questa città è sempre stata un posto per uomini e gli uomini sono maleducati. Non mi aprono la porta, dovrò aprirla da sola con un calcio, come sempre”.
La ricostruzione storica è molto convincente, gli anni ‘60 rivivono attraverso le acconciature pompose, gli abiti color pastello e le vecchie nostalgiche pellicole, ma la bravura delle interpreti offusca tutto ciò che le circonda catalizzando su di loro tutta l’attenzione. I premi Oscar Susa Sarandon e Jessica Lange non sbagliano un colpo, dimostrando grande forza e carattere nell’interpretare due personalità così prorompenti e fragili allo stesso tempo.
Giunti a metà della serie siamo ancora affascinati da questa epoca così lontana ma che si fa sempre più vicina a noi, curiosi di sapere le altre scabrose verità sul caso Baby Jane.