Il nuovo film di Laura Bispuri, Figlia Mia, che uscità nelle sale il 22 febbraio, è difficile da individuare.
La storia, ambientata durante una calda estate in un paesino anonimo della Sardegna, gira attorno alla vita di tre donne: Vittoria (Sara Casu, alla sua prima interpretazione), Tina (Vittoria Golino) e Angelica (Alba Rohrwacher), completamente diverse tra loro.
Vittoria ha quasi 10 anni, la vita un po’ semplice, un po’ complicata di tante bambine della sua età.
Le compagne di scuola non la considerano, anzi, la escludono, vive in simbiosi con la madre Tina, quella che tutti non esiteremmo a definire una delle “pie donne”, che cerca in ogni modo di proteggerla dal mondo e di tenersela stretta, provando con tutte le sue forze di creare l’immagine della mamma perfetta con la figlia perfetta.
Nel quadro però c’è anche Angelica, una donna fragile, persa, che per troppo a lungo si è lasciata trascinare dalla vita alla ricerca di un amore che non è mai arrivato, almeno finchè Vittoria non riappare nella sua vita.
Angelica e Tina però sono troppo diverse, cittadine di due mondi che non possonno che scontrarsi, specie quando in gioco c’è l’amore Vittoria, che la prima ha partorito e la seconda allevato.
Figlia Mia: Un film sulle donne, dalle donne, per tutti
In Figlia Mia, le donne fanno da padrone.
La loro storia, la loro voce, il loro sguardo. Tutto è al femminile.
Gli uomini ci sono, ma sono di contorno, vagi, indefiniti. I soli volti a cui possiamo dare nome sono quelli di Umberto (Michele Carboni) marito di Tina, e Bruno (Udo Kier).
Laura Bispuri ci obbliga a riflettere sulla maternità, su cosa vuol dire crescere e cambiare, perdersi e ritorvarsi.
Grazie alle interpretazioni magistralidelle tre attrici protagoniste, ci vengono raccontate tre vite, tre cambiamenti.
Da un lato abbiamo Vittoria, che in un’estate cresce, che si batte per scoprire chi è, da dove viene. Perchè nonostante il fatto che Tina la vorrebbe uguale a se, Vittoria è anche figlia di Angelica, e da lei ha preso comunque qualcosa. È una lotta che contrappone l’educazione alla natura, e che porta la bambina lungo una strada che a volte propende più da un lato che dall’altro, riuscendo in fine a farle trovare un equilibrio stabile.
Dall’altro lato ci sono Tina e Angelica, due donne alla ricerca d’amore, due madri, che paradossalmente si fanno la guerra per decidere a quale delle due appartiene più di diritto questa maternità, quale legame è più forte: se quello fisico di chi ti ha portata in grembo e partorita, o quello culturale di chi ti cresce e ti educa.
È meglio un’amore come quello di Tina, fermo, constante e senza sbaldi, fatto di gesti quotidiani, di abitudini consolidate, o come quello di Angelica, forte, libero ma anche altalenante e indeciso?
Il bello di questo film è che si può scegliere da che lato guardarlo.
Se pensare che sia la storia della crescita di Vittoria: che prendendo un po’ da ciascuna delle figure femminili che la circondano costruisce il suo carattere, affronta le sue paure e trova sé stessa.
Si può scegliere di vederla come la storia di Tina: che deve fare i conti con il fatto che non è infallibile, ne tanto meno perfetta, e si trova a fare cose di cui non si sarebbe pensata capace, trascinata dalla parte peggiore di se e dalla paura di perdere la sua bambina, quandosi accorge che quest’ultima è molto più complessa di quando lei avesse creduto.
O ancora che sia il racconto di Angelica che, sul punto di lasciarsi tutto alle spalle, impara dalla figlia che credeva di non volere, ad accettare e a donare quell’amore che a lungo le era stato rifiutato.
Figlia Mia: gran parte del fascino di una storia, sta nel modo in cui viene raccontata
Qualcuno potrebbe dire che il problema del film è la velocità.
Perché pur essendo una pellicola carica di emozioni, alcuni momenti sembrano prendersi uno spazio molto superiore a quello che dovrebbe spettare loro, sbilanciando e diluendo troppo il tempo del racconto che scorre in maniera irregolare, incomprensibile allo spettatore, per il quale la vicenda potrebbe svolgersi nell’arco di mesi come nell’arco di poche settimane.
Anche alcune scelte di fotografia si potrebbero discutere, come quella di non mostrare mai in modo ampio lo spazio che circonda l’azione, ma decidendo di limitare lo spazio dell’inquadratura riempiendolo principalmente dei singoli personaggi, o ancora utilizzando il loro stesso punto di vista sempre però rivolto verso il basso, senza mai abbracciare la totalità del paesaggio.
Dal punto di vista della trama però il film non lascia domande, né azioni incomplete. Potremmo chiedere altri dettagli, è vero, ma ci rendiamo subito conto che non sarebbero necessari, perché tutto quello che ci serve sapere su queste tre donne, ci viene brillantemente raccontato da Laura Bispuri nell’arco di questa intesa pellicola.