Dopo un anno di attesa rivediamo sugli schermi lo show di punta di HBO, che dal 2011 ha bruciato ogni record, tra ascolti, budget e Emmy Awards. Game Of Thrones celebra un ritorno in grande stile con Dragonstone, 58 minuti, un inedito prologo ad alto tasso di morte ed Ed Sheeran. Se non volete saperne di più vi invitiamo a non proseguire la lettura.
L’episodio soffre inevitabilmente della sua funzione di “spiegone” ma di questo non possono essere colpevolizzati gli sceneggiatori, D. B. Weiss e D. Benioff, ormai più di Martin al timone della storia, costretti a riprendere il filo degli eventi e delle numerose vicende in cui la narrazione si snoda per rinfrescare la memoria degli spettatori. Questa necessità non intacca la bellezza di Dragonstone, che d’altro canto dimostra come le circostanze stiano accelerando verso la definitiva conclusione, tratteggiando con decisione il personale quadro di ciascun personaggio.
Ritroviamo sin da ora quasi tutti i sopravvissuti alle spietatissime stragi consumatesi nelle stagioni precedenti, incastonati scena per scena nel corso della puntata, tra un grande inizio e un finale ancora più avvincente. I processi di crescita personale sono compiuti e si mostrano con chiarezza fin da subito, soprattutto per quel che riguarda i giovani di casa Stark. Arya, protagonista di un’introduzione che inchioda allo schermo anche chi si aspettava di cominciare questa nuova visione cantando la fortunata sigla dello show; Sansa e Jon, entrambi maturi e determinati, si scontrano in precario equilibrio alla testa del Nord. La novità accennata nella scorsa stagione, Euron Greyjoy, non delude nella sua sfacciata e irriverente presentazione a Cercei, in cui non risparmia perfide allusioni a Jamie. Anche Sam, affiancato da un Maestro d’eccezione, Jim Broadbent, e il Mastino sono ormai sempre più vicini al culmine delle loro parabole.
Eccitazione e inquietudine permeano l’intero episodio e rendono l’atmosfera ancora più tesa, cupa e vibrante, grazie al montaggio che mette insieme un sapiente mix di ritmi narrativi e registri, il terrore di fronte alla lenta ma inesorabile calata degli Estranei, ai presagi, ai morti seppelliti nel buio; la comicità frutto delle fatiche di Sam e della goffaggine di Tormund e Brienne; il dramma della complessità emotiva dello scambio tra i gemelli Lannister, e la tenerezza del momento conviviale dei giovani attorno al fuoco. La fotografia non può che premiare le splendide locations e i primi piani degli attori, tutti rodati e in grado di trasmettere ogni sfaccettatura del proprio alter ego.
Tutto sta per compiersi, le minacce si sono concretizzate, e la sceneggiatura ci fa cadere dritti nella rete della suspance, fatta della consapevolezza quanto della inconsapevolezza di coloro che stanno per affrontare la morte. L’ultima scena ci traghetta dritti verso l’epicità che questa stagione riserva, Daenerys sbarca a Dragonstone: un Targaryen cammina di nuovo a Westeros, ed è sua la battuta che dà ufficialmente il via al Gioco dei Troni.