Il terzo episodio di Game of Thrones, The Queen’s Justice, parte col botto e diventa una pietra miliare nella narrazione dell’intera saga, grazie al verificarsi dell’evento più atteso dai fan dagli inizi dello show. Nonostante il titolo si riferisca alla vendetta di Cercei, infatti, ci viene subito servito il piatto forte di questa stagione e alla fine della puntata la scacchiera dei contendenti resta decisamente sfoltita.
Per non sapere a quali pezzi abbiamo dovuto rinunciare, non proseguite nella lettura.
Gli eventi continuano a fluire senza abbandonare l’ambivalenza sospesa tra azione e introspezione, qui simmetricamente ripartite tra i due poli di Westeros. Se il vero fermento si anima a Sud, a Nord il ritmo subisce un notevole rallentamento e la scrittura ricca e verbosa, che privilegia lunghi dialoghi puntellati di confronti e accuse, relega la vera e propria azione ai margini. Nel complesso la puntata resta tesa, decisiva e per molti versi affrettata, secondo gli standard a cui gli sceneggiatori D&D ci stanno abituando.
A Roccia Del Drago la lunga camminata sulla muraglia che porta alla sala del trono e lo scambio velenoso tra Varys e Melisandre giocano diabolicamente con l’impazienza dello spettatore che si è visto presentare lo storico sbarco dopo i titoli di testa, per portarla al culmine quando finalmente lo sguardo di Jon si posa su Daenerys. Quello che scaturisce dall’unione di fuoco e ghiaccio è però un duello in punta di titoli, (una comica esposizione di appellativi e lignaggio in cui il povero Sir Davos ha all’inizio la peggio), sguardi e parole che solo l’abile mediazione di Tyrion riesce a conciliare. Il vuoto fisico e linguistico che sin dall’inizio separa i giovani condottieri sottolinea la distanza e la diffidenza tra due personaggi legati dal sangue a loro insaputa, in parte colmato solamente una volta trovatisi soli e senza intermediari sulle mura del castello.
Nel frattempo un altro ricongiungimento avviene a Grande Inverno, in cui il capace operato di Sansa è sobillato da Ditocorto, grazie al ritorno di Bran. L’abbraccio con cui Lady Stark accoglie il fratello minore è subito raffreddato dalla rivelazione che nulla sarà più come prima: la preoccupazione di dover cedere il proprio ruolo di leader di Sansa e la trasformazione di Bran costruiscono un muro tra i due. Lo sguardo impenetrabile del giovane che ormai non appartiene più al mondo degli Uomini a cui la sorella dà le spalle rende amaro un momento che invece di essere esaltato dal focolare di casa è suggellato dalla bianca desolazione del ghiaccio.
A Sud invece la fretta fa da padrona: tra Euron Greyjoy, un teatralissimo Pilou Asbaek pronto a raccogliere l’eredità di Joffrey e Ramsay, Mark Gattis nei panni del delegato della Banca di Ferro e una muta quanto intensa Ellaria Sand, vediamo Jamie tornare quello di un tempo, riconciliato con l’amata gemella, anche se la fine di questo episodio potrebbe innescare un cambiamento di rotta. Dopo averci ingannato lasciandoci credere a un pareggio di Daenerys attraverso il riuscito montaggio della presa di Castel Granito, vediamo infatti i Lannister assediare Alto Giardino, facendo cadere con una facilità e velocità imbarazzanti l’ultimo alleato della Madre dei Draghi. I piani di Daenerys si sono rivelati quindi tanto prevedibili quanto sono veloci le vele di Euron.
L’intrigante finale in cui Jamie e l’eroica Olenna si affrontano ad armi pari, seduti l’uno di fronte all’altra, si conclude con la confessione da parte di quest’ultima dell’omicidio del primogenito Lannister. In attesa di vedere se la rivelazione avrà il potere di riavvicinare Jamie e Tyrion, esultiamo per il lavoro (fin troppo semplice) di Sam e ci domandiamo quale peso potrà avere l’informazione che Jon ha voluto tenere nascosta alla sua precaria alleata, ovvero la propria resurrezione.