Il finale è arrivato, è andata in onda The Iron Throne. Ci siamo soffermati più volte sull’importanza di Game of Thrones nella cultura di massa. Alle tre di stanotte si è concluso un percorso fondamentale nella storia della nuova serialità televisiva. Un viaggio sentitissimo, che come altre grandi saghe pop è andato incontro a polemiche e iniziative popolari di dubbia credibilità (la petizione per rigirare l’ultima stagione ne è un esempio). Ma adesso è il momento del silenzio, di tirare il fiato dopo la fine di un lungo cammino. E di tirare delle timide somme a caldo. Fra dieci anni, Game of Thrones verrà ancora ricordata come la serie epica che ha tenuto sulle spine milioni di spettatori per otto stagioni? Ai posteri l’ardua sentenza.
Quest for the Queen
Alla fine del quinto episodio, Daenerys Targaryen ha sconvolto e deluso i suoi alleati massacrando gli innocenti civili di Approdo del Re. La resa dell’esercito nemico non ha placato la rabbia della Madre dei Draghi, disposta a tutto pur di mostrare chi comanda. Perfino a giustiziare il suo inquieto e disilluso primo cavaliere, Tyrion.
Tyrion ha un’ultima speranza per sopravvivere e salvare il regno dalla neo tiranna: il buon cuore di Jon. L’innamorato della regina, nonché legittimo erede al trono di spade, è l’unico a poter agire per fermarla. La natura di Jon prevale sul suo amore per Daenerys: grazie a Tyrion, si convince che è più importante fare la cosa giusta piuttosto che seguire i suoi sentimenti. La madre dei draghi è irrecuperabile, convinta di essere una predestinata e disposta a tutto pur di prevalere come unica regnante di Westeros.
Ha inizio una drammatica marcia, una sorta di “quest per salvare la principessa” al contrario: il vero pericolo per lei è il cavaliere, non il drago.
Daenerys è nella sala reale, sta per sedersi sul trono, quando Jon fa il suo ingresso. Lo accoglie felice, convinta della bontà del proprio operato. Non ha rimorsi né dubbi su ciò che ha fatto: Cersei l’ha ingannata, facendosi scudo con il proprio popolo. Lei le ha solo dimostrato ciò di cui è capace. Con la morte nel cuore, Jon agisce: durante un bacio appassionato pugnala a tradimento la regina, uccidendola. Jon sta ancora piangendo sul corpo della sua amata quando Drogon irrompe in sala: sente che a sua madre è successo qualcosa. Jon è pronto ad andare incontro alla morte. Il drago scopre della morte di Daenerys, è distrutto, ma non scarica la sua furia di fuoco su Jon: con una potente e disperata fiammata, distrugge il trono di spade, riducendolo a un cumulo di metallo incandescente. Infine, prende il corpo di sua madre e vola via, sparendo all’orizzonte.
La forza delle storie
Senza Daenerys, tocca a chi è rimasto rimettere faticosamente insieme i pezzi. Tyrion, sopravvissuto per un soffio alla sua condanna a morte, ha una proposta sorprendente da fare al consiglio ristretto dei lord. È tempo di trovare un nuovo sovrano. Vengono fatte le proposte più varie, ora che il trono è distrutto: Sam suggerisce addirittura delle elezioni. Viene deriso da tutto il consiglio. Provaci ancora (tra qualche secolo), Sam.
Ma le parole di Tyrion, da molto tempo moderate dalla presenza di Daenerys, riescono a convincere tutti:
Cosa unisce le persone? Armate? Oro? Vessilli? No, storie. Non c’è niente di più potente di una buona storia. Niente può fermarla. Nessun nemico può sconfiggerla. E chi ha una storia migliore di Bran the Broken? Il bambino che è caduto da una torre ed è sopravvissuto. Sapeva che non avrebbe più camminato, perciò ha imparato a volare. Si è spinto oltre la Barriera, un bambino storpio. Ed è diventato il Corvo a Tre Occhi. È la nostra memoria, il custode di tutte le nostre storie. Di guerre, matrimoni, nascite, massacri, carestie. Dei nostri trionfi. Delle nostre sconfitte. Del nostro passato. Chi meglio di lui per guidarci verso il futuro?
La lotta per il trono ha un finale inaspettato, un po’ alla Spada nella Roccia, con un giovanissimo uomo che prende il futuro del mondo sulle sue spalle. In effetti il piccolo Artù non aveva tre occhi e non girava su una sedia a rotelle, ma tant’è.
Con l’ascesa al potere di Bran (e l’abolizione dell’elezione dei sovrani per via ereditaria), in The Iron Throne si chiude il cerchio iniziato alla fine del primo episodio: la spinta giù dalla torre di Winterfell che ha messo in moto gli eventi di sangue di Westeros. Il consiglio non ha dubbi, ma Sansa ha una condizione per il suo voto: il Nord libero e indipendente. Bran accetta a patto di avere Tyrion al suo fianco come primo cavaliere e infine viene incoronato Re dei Sei Regni. Dopo anni di sangue e battaglie, Westeros potrà occuparsi solo della sua stabilità. Il nuovo Concilio Ristretto è composto da Tyrion, Primo Cavaliere, Bronn, Maestro del Conio, Sam, Gran Maestro, Ser Davos, Maestro delle Navi, e Brienne, Lord Comandante della Guardia Reale.
Lupi solitari
Arriva il momento degli addii: il branco di giovani lupi Stark deve separarsi. Con Bran sul trono, anche i fratelli devono decidere come andare avanti. Sansa appartiene al Nord e il Nord appartiene a lei: si fa avanti come prima regina di Grande Inverno. Sarà sicuramente una governante giusta, carismatica e attenta al suo popolo. Il percorso della lady è stato uno dei più straordinari. Partita come aspirante principessa viziata, è diventata una donna sveglia e responsabile. Nonostante la battuta molto infelice sul fatto di essere ciò che è anche grazie alle violenze subite nel corso della sua storia, Sansa ha sempre avuto dentro di sé le qualità per essere la persona che è diventata. Senza ombra di dubbio.
Arya ha un nuovo, bruciante, desiderio: vedere cosa c’è più ad ovest di Westeros, dove le cartine non arrivano. A bordo di una nave con le vele raffiguranti lo stemma degli Stark, Arya si dirige verso l’ignoto, lo sguardo sereno e pronto a nuove avventure. Speriamo che i terrapiattisti non abbiano ragione e che la giovane Stark non caschi di sotto dal mondo portandosi dietro tutta la flotta.
Resta solo Jon. Tyrion intercede per l’assassino della regina, riuscendo a commutare la sua pena di morte in un esilio sulla barriera (o meglio, quello che ne rimane). Jon torna dove era stato felice, ai confini del mondo, fra gli ultimi e i reietti. Ad aspettarlo c’è il popolo libero (e Spettro, che finalmente si prende una meritata carezza), guidato da Tormund, che lo accoglie e conduce oltre la barriera, dove gli Estranei non sono più una minaccia. Jon sparisce nella foresta del profondo Nord, proprio dove la storia era cominciata. Ed è proprio qui che la storia di Game of Thrones finisce.
Sarebbe mai potuto essere abbastanza?
Questa ottava stagione di Game of Thrones ha sollevato moltissime polemiche. Ogni parere, anche il più estremo, è legittimo: è una prova dell’incredibile attaccamento dei fan alla serie. Anche se certe posizioni fanno venire voglia di dire “volta prossima scrivila te la serie”. Il sentore più comune e condivisibile è stata una generale fretta di chiudere tutte le storie e poco tempo per farlo bene. Il Night King ucciso in pochi istanti, il sangue Targaryen di Jon che in pratica non ha portato a niente, la repentina morte della scaltra Cersei.
Tutto sembra essere volato troppo in fretta, e forse il tempo confermerà questa sensazione. Ma risulta davvero difficile pensare ad un finale che fosse in grado di accontentare tutti (se poi alcuni sono tristi solo perché “tifavano” un personaggio sul Trono, quello è un problema loro). Game of Thrones è stata una serie in grado di commuovere, esaltare e sorprendere gli spettatori, pur appoggiandosi sempre meno, col passare delle stagioni, sull’eccellente scrittura che la contraddistingueva. Ma era chiaro dall’inizio di questa ottava stagione che sarebbe andata così, che sei episodi non sarebbero mai potuti essere abbastanza.
Resta sempre una serie straordinaria, in grado di portare il fantasy dove non era mai riuscito ad arrivare. Che siate stati fan della prima ora, che l’abbiate bingiata tutta quest’estate o la settimana scorsa, tutti avete visto cosa si può fare con dei personaggi e degli interpreti fantastici. Con e senza draghi.
Ma tutte le cose devono finire, anche se a volte sembra che avvenga troppo presto. Vale la pena esclamarlo un’ultima volta:
Valar Morghulis!