Nella New York degli anni Venti il giovane scrittore Thomas Wolfe (Jude Law) dopo rifiuti su rifiuti e parole poco gentili verso la sua opera Angelo, guarda il passato, non crede più in se stesso e non si aspetta che il famoso editor Max Perkins (Colin Firth) possa pubblicare il suo romanzo. Ma Perkins non è un editor qualunque e in quel libro “non buono, ma unico” vede qualcosa di più e non ha dubbi: va pubblicato.
Con Genius finalmente si porta sotto i riflettori un rapporto che ai più è sconosciuto: quello tra editor e scrittore, una storia d’amore e odio che segna in modo particolare la vita dell’editore de Il grande Gatsby e l’autore del monumentale Il fiume e il tempo.
L’editor sotto ai riflettori
Siamo sicuri che capolavori come quelli di Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald avrebbero incontrato il successo e la pubblicazione senza l’editore giusto? Lo sceneggiatore, candidato premio oscar, John Logan (Il Gladiatore, The Aviator, Hugo Cabret) scrive una sceneggiatura non originale basata sulla biografia Max Perkins: Editor of Genius di Andrew Scott Berg, per portare alla luce la mitica figura di uno dei mostri sacri dell’editoria e non lo fa raccontando il rapporto che Perkins ebbe con Hemingway e Fitzgerald (interpretati rispettivamente da Dominic West e Guy Pearce), ma descrivendo la più grande sfida e fatica professionale che Perkins ha affrontato: essere l’editor dei romanzi di Thomas Wolfe.
Molto spesso si immagina gli editor come figure vampiriche che chiedono lavoro, o disperati che si riducono a supplicare gli autori e a trovare soluzioni creative per colmare la mancanza d’ispirazione degli scrittori. Con Wolfe, Perkins si ritrova a vivere una situazione comicamente opposta e a dover lottare contro l’eccessiva creatività del giovane, affetto da una febbrile vena creativa che ostacola il suo lavoro di editing. Solo dopo aver faticosamente cancellato 90.000 parole porta alla luce il primo romanzo di Wolfe: Angelo, guarda il passato. Ma se questo lavoro sembra una fatica erculea, la realtà è che solo un assaggio in confronto all’editing del secondo romanzo di Wolfe: Il fiume e il tempo. Una faticosa battaglia di due anni (dove ci si è divertiti con montaggio e fotografia) che cambierà radicalmente i due uomini.
Un rapporto particolare
Limitare questo biopic a un’originale messa in luce del dietro le quinte di un libro, potrebbe far pensare a un film settoriale e poco umano, mentre di umanità ce n’è tanta. Quanto è curioso il rapporto che lega e contrappone Perkins e Wolfe, tanto è turbolento, a tratti divertente e drammatico, segnato comunque da momenti poetici e teatrali che due talenti come Colin Firth e Jude Law non possono che rendere al meglio, totalmente assorbiti dai loro personaggi.
Tra Perkins e Wolfe c’è una notevole differenza d’età, di tempra, di cultura, di educazione e dire che sono due opposti che si attraggono sarebbe usare un luogo comune in maniera sciocca, quanto sarebbe errato parlare di un rapporto omoromantico. La figura dell’editor paternalista che fa nascere e crescere il suo autore – un pupillo che nutre di fiducia, complimenti e popolarità – dal piano professionale tocca i punti deboli dei due uomini, trasudando quel sentimento paterno anche sul piano umano. Perkins è un uomo felicemente sposato con Louise Saunders (Laura Linney) e ha cinque amate figlie, ma segretamente ha covato il desiderio di un figlio maschio che mai ha avuto e che pian piano vede in Wolfe, orfano di padre, legato sentimentalmente a una donna più grande di lui, Aline Bernstein (una meravigliosa Nicole Kidman, che risulta però marginale nel quadro della storia), la quale vede in Perkins un nemico, colui che gli porterà via il suo Thomas.
Tutto il film gioca sull’ambiguità dei rapporti editor-autore e padre-figlio con varianti sul tema ed è proprio questo il punto di forza della pellicola che diventa così un biopic diverso dagli altri, che non indaga troppo a fondo sul singolo personaggio, il suo interesse è infatti morbosamente legato al rapporto Perkins-Wolfe (anch’esso morboso), che esclude e marginalizza tutto il resto, forse anche troppo.
L’intenzione di fare un film d’autore
Genius è la prima pellicola dell’inglese Michael Grandage, regista di spettacoli teatrali ed opera; fondatore e direttore della Michael Grandage Company, casa di produzione per lavoro teatrali, televisivi e cinematografici.
L’esperienza del teatro si fa sentire positivamente, ma dai primi minuti del film Grandage mostra un’ottima visione cinematografica, un’ottima manualità e un gusto che a tratti rendono questo film un lavoro che potrebbe rientrare nel cinema d’essai. Va segnalata l’ottima fotografia di Ben Davis (ultimamente appassionato alle produzioni Marvel come Guardiani della Galassia, Avengers: Age of Ultron e Doctor Strange), con una predominanza di grigio, che riesce a trasportare – quasi romanticamente – nell’America proibizionista. Il colore è da ricercare tutto nella recitazione.
Quest’unione di talenti tecnici, che si esprime grazie a un grande cast, non fa del film né un blockbuster, né un film d’autore, è l’intenzione di orientare il cinema biografico su aspetti che possono offrire una diversa chiave di lettura di personaggi e rapporti, senza mitizzarli. Peccato però che pecchi di un certo melodramma.
La lunga prima parte è incantevole e coinvolgente, ma proseguendo, dopo che Il fiume e il tempo viene pubblicato e Wolfe si afferma come autore e come uomo, lo spettatore si può trovare a condividere la stessa stanchezza provata da Perkins. Sembra che il film sia stato lasciato dirigere e scrivere da altri (la sceneggiatura è particolarmente debole in questa parte), perché il cambiamento dei personaggi è quasi radicale (e non graduale) e il ritmo narrativo si fa velocissimo, quasi che si senta l’urgenza di arrivare a un finale che – bene o male – riesce a riacquistare sensibilità e prestigio, ma lascia confusi e divide sul gradimento, rendendolo un prodotto che declina le responsabilità di giudizio all’ambiguità semantica dell’ “interessante”.