Nel 2009 il regista Quentin Tarantino, incalzato da un giornalista durante il press tour di Bastardi Senza Gloria, ha elencato i suoi venti film preferiti a partire dal 1992 – anno in cui ha debuttato alla regia con Le Iene – sino a quel momento. Tra le pellicole citate ha trovato posto anche Unbreakable – Il Predestinato, del regista M. Night Shyamalan, un omaggio ai fumetti pre-cinecomic modaioli in salsa thriller. Dopo che nell’ultimo decennio il business dei cinefumetti è cresciuto esponenzialmente, e che i sequel di vecchi film con i protagonisti originali invecchiati di 10 o 20 anni vanno alla grande al botteghino, Shyamalan ha ben deciso di rispolverare il suo vecchio successo. Nel 2016 ha girato Split, un film che all’apparenza non c’entrava nulla con Unbreakable, ma che nel finale si è scoperto esser ambientato nello stesso universo narrativo. E arriviamo così al 2019, a Glass, un sequel crossover dei due film sopracitati, che completa una trilogia che fino a un paio di anni fa non era nemmeno nella mente del regista.
Glass: una fiacca trovata commerciale
Il film fa seguito agli eventi di Split. David Dunn (il protagonista di Unbreakable, Bruce Willis) insegue Kevin Wendell Crumb, un uomo dalle molteplici personalità (interpretato da James McAvoy), in una serie di incontri sempre più intensi. Nel frattempo Elijah Price (Samuel L. Jackson), dotato di un’intelligenza superiore, detiene i segreti più scottanti di entrambi, ed è pronto a scatenarli.
La trama di Glass è di per sé intrigante e ricca di spunti interessanti, grazie all’incontro di diversi personaggi complessi e affascinanti. Peccato però che le belle speranze siano state completamente disattese a causa dalle scelte registiche incomprensibili di Shyamalan. Il regista sembra infatti aver dimenticato in un solo colpo il il ritmo sostenuto di Unbreakable e le cupe atmosfere di Split a favore di un’attenzione maniacale ai dettagli più futili. E così da una possibile storia di riflessione sui supereroi, esce un film lento e a tratti decisamente noioso. Non fatevi tradire dall’inizio intenso e travolgente; dopo la prima mezz’ora il film si perde in scene scialbe e ben poco avvincenti.
L’antitesi del cinecomic moderno
Lo stile di Shyamalan è unico. Se già a fine anni ’90 la sua espressività si poneva di traverso rispetto ai canoni dei blockbuster hollywoodiani tutti azione ed esplosioni, dopo l’ondata travolgente di cinecomic degli ultimi dieci anni il modo di fare cinema di Shyamalan risalta – se possibile – ancora di più. Alle grandi produzioni americane che hanno abituato gli spettatori ad un ritmo sempre più schizofrenico accompagnato da effetti speciali mozzafiato, Shyamalan risponde con un film a basso budget (20 milioni di ex presidenti stampati su carta verde) che punta tutto sulla psicologia dei personaggi.
La forza del suo cinema rimane il montaggio e la fotografia. Non è un caso che la sequenza in cui i personaggi interpretati da Bruce Willis e James McAvoy scoprono di esser stati imprigionati l’uno di fronte all’altro, quando le porte delle rispettive celle si aprono per un istante permettendo ai due di vedersi, crei una delle immagini migliori del film.
Un nuovo modo di intendere un genere
Oltre ai personaggi, Glass riprende anche i temi di Unbreakable. Infatti, se nel primo film il personaggio interpretato da Bruce Willis veniva convinto dall’uomo di vetro di essere un supereroe, in questo sequel qualcuno è pronto a tutto per convincerlo che non lo è. Un film sui supereroi quindi, ma completamente diverso da ciò a cui Marvel e DC ci hanno abituato. I protagonisti li guardiamo dall’esterno, in maniera distaccata, e si potrebbe parlare di un piccolo capolavoro proprio per questo nuovo modo di intendere un genere così abusato negli ultimi anni. E invece Shyamalan sembra essersi dimenticato l’elemento che ha caratterizzato – e che ha fatto amare in tutto il mondo – i suoi film: la suspence.
Per il suo essere rivoluzionario nel suo andare contro sostanzialmente a tutti i canoni del blockbuster supereroistico non è stupido affermare che Glass – e prima ancora Unbreakable – siano due piccoli gioielli per come sono stati concepiti. Ma l’originalità di un’idea non fa un film.
Il cinema ha ancora bisogno di eroi?
Le ventiquattro personalità di James McAvoy valgono il prezzo del biglietto. Vedere su grande schermo la versatilità di questo attore, alle prese con un vero e proprio esercizio di stile, è uno spettacolo per gli occhi. Anche il personaggio di Samuel L. Jackson – muto per tutta la prima ora del film – è orchestrato alla perfezione, ma emerge però quando ormai è troppo tardi. Chi invece non risalta per nulla è Bruce Willis, la sua mono-espressività non viene valorizzata, ed la sua interpretazione è decisamente la più debole fra le tre protagoniste. Purtroppo nemmeno il supporting cast aiuta. I quattro attori non protagonisti non ci regalano nessuna prova memorabile, al contrario risultano piatti e dimenticabili. Un ultimo elemento degno di nota è sicuramente il soundtrack originale, che però non è accompagnato da quella tensione a cui Shyamalan ci aveva abituato nei suoi film migliori.